30.8.06

Alitalia, i precari non decollano

Di recente c'è il parere (peraltro difficilmente vincolante) dell'ispettorato del lavoro sulla situazione dei call center Atesia e una circolare del neo Ministro del Lavoro Damiano che mette alcuni (in realtà velleitari) paletti ai contratti atipici.

L'Ispettorato del Lavoro è entrato nel merito delle funzioni svolte dai precari impiegati nei call center che effettuano telefonate promozionali e assistenza clienti per conto di varie aziende italiane. Secondo gli ispettori gli operatori telefonici con contratto “a progetto” possono solo effettuare chiamate promozionali “out-bound” ovvero in uscita; mentre le telefonate “in-bound” ovvero in ingresso (assistenza clienti, informazioni varie) devono esser gestite da lavoratori con tipologie contrattuali diverse. In realtà sono solo piccoli dettagli e forse fuorvianti nuvolette politiche che tentano di oscurare agli occhi della nazione il ben più ampio mondo del precariato.

Il giro d'affari dei call center è stimato in 600 milioni di euro e i precari sono impiegati oggi giorno nelle più svariate attività, contribuendo ai bilanci, spesso molto positivi, di grandi aziende italiane. E' quindi evidente che, oltre a cadere il celebre anatema di Confindustria per cui i lavoratori atipici (per lor signori il precariato semplicemente non esiste) servono a contrastare le economie sommerse e straniere che schiacciano l'Italia, tanta ricchezza non va neanche in minima parte ai lavoratori, che percepiscono stipendi nell'ordine delle poche centinaia di euro al mese. Un grosso affare quindi…

Nel 2001 un altro celebre e nefasto decreto legislativo vedeva la luce (per casualità lo stesso mese degli attentati alle torri gemelle di New York). Si tratta della legge 368 che recepisce “all'italiana” la direttiva europea 70/99 sui contratti a termine. In poche parole la già citata legge dà la possibilità alle aziende di reiterare contratti a termine quasi all'infinito con percentuali massime consentite di lavoratori precari difficili da controllare e ridicole sanzioni nel caso di non osservanza di passaggi quali l'art. 6 (principio di non discriminazione).

La grande compagnia aerea Alitalia si distingue sicuramente per il suo elegante e ricercato “brand” nel mondo ma anche per il grande uso dei contratti precari. Su 4000 assistenti di volo che ogni giorni garantiscono la sicurezza sui voli di passeggeri Freccia Alata (il primo livello dei frequent flyer) ben 1000 sono precari e nelle salette vip degli aeroporti italiani la situazione è molto simile.

Chissà quante volte il presidente di Confindustria ha fatto un bel sorriso a un precario, in volo o in aeroporto. Chissà quante volte i ministri del nuovo governo si sono trovati a tu per tu con assistenti di volo, o impiegati dello scalo che sono precari.

Una storia già vista: reiterazione all'infinito di contratti a termine (senza garantire i famosi pari diritti dell'art. 6) e impossibilità per i “ragazzi” ultra trentenni di farsi una famiglia. In questo caso però l'ispettorato del lavoro risulta distante e irraggiungibile quasi fosse un'entità astratta invece che un organo dello Stato pagato dalle tasse e dalle imposte del popolo (anche dei precari che dovrebbe tutelare). E il futuro? Il programma del nuovo governo è chiaro: superamento della legge 30 e della legge 368 con ripristino della centralità del contratto a tempo indeterminato.

La grande sfida è proprio quella: il rispetto del programma di governo.

I call center, gli enti pubblici, le compagnie aeree devono certo poter usufruire di flessibilità in ingresso ma devono essere impossibilitati a sfruttare il precariato e controllati e fermati se mettono a repentaglio i diritti elementari dei lavoratori (diritti sindacali, godimento di ferie, pari trattamento rispetto agli altri lavoratori, salario dignitoso etc) che sono parte integrante delle antiche tradizioni di dignità sociale, di crescita economica e di rispetto della nostra Costituzione. Abbiamo votato questo governo, abbiamo votato contro la riforma della Costituzione.

di R.S, precario, delegato del Sult, sindacato unitario dei lavoratori dei trasporti

29.8.06

Sassari. Call center: 400 assunzioni ma solo per 2 mesi

«I requisiti indispensabili per candidarsi sono: ottime doti comunicative; flessibilità; orientamento al cliente e disponibilità a lavorare su turni». Requisiti richiesti dalla società Comdata di Torino per selezionare e assumere 400 persone da destinare in un call center che il gruppo piemontese intende aprire nel nord Sardegna. Un rilancio dopo il ciclone che il Governo nazionale sta scatenando sui call center, oggetto di controlli a tappeto per verificare le condizioni di lavoro delle migliaia di addetti. Un vero e proprio esercito di precari, come quelli che la Comdata si appresta ad assumere. «Le persone selezionate saranno regolarmente assunte con un contratto di lavoro a tempo determinato», si legge nel comunicato diramato dalla Adecco, società di lavoro interinale incaricata di reclutare gli aspiranti telefonisti per la Comdata. Il tempo è determinato in due mesi, ma per i fortunati che supereranno le selezioni il futuro non sarà poi così incerto: dopo i primi due mesi di lavoro potranno godere di un contratto di inserimento di ben 12 mesi. Un contratto part-time, naturalmente: 4 ore di lavoro al giorni, 20 settimanali). Chiuso l'anno di inserimento, le porte del call center rimarranno aperte: in nome della flessibilità i 400 ormai esperti telefonisti potranno, forse, giovarsi di una ulteriore proroga. Tutto questo con un contratto «al 2° livello del CCNL delle Telecomunicazioni e uno stipendio di 700 euro lordi». Su qualsiasi ulteriore particolare dell'offerta che ingrosserà l'esercito dei precari, la Adecco non cede e si trincera dietro l'invalicabile privacy: impossibile sapere dall'agenzia interinale anche il solo nome della società che ha indetto le selezioni. Ma la promessa di 400 assunzioni in un territorio dove la disoccupazione è diventata ormai cronica, non può passare inosservata: in città la voce si sparge in un baleno, le speranze di assunzione volano di bocca in bocca, e in serata il nome segreto della società benefattrice è gia noto a tutti. Alla Adecco non confermano nulla se non la proposta di assunzione, e si sbottonano solamente per ammettere di avere già ricevuto numerosi curricula. Segno che pochi mesi di lavoro, part-time, a 700 euro lordi il mese, sono comunque visti come oro colato in una provincia dove le terrificanti statistiche sulla disoccupazioni non fanno quasi più notizia. I 400 selezionati inizieranno il loro percorso lavorativo a tempo a fine settembre, ma non tutti: per primi entreranno a lavoro in cinquanta, e poi via ad assunzioni scaglionate, fino a completare l'organico entro la fine dell'anno. Il call center della Comdata sarà un impegno in più per gli ispettori del ministero del Lavoro, che proprio da settembre daranno il via a controlli a tappeto in tutta Italia sul fenomeno call center. Le ispezioni dovranno verificare la regolarità dei contratti e dei rapporti di lavoro delle migliaia di addetti (10mila solo in Sardegna), e fissare un netto spartiacque fra dipendenti e collaboratori.
Vincenzo Garofalo (Unioneonline)

29/08/2006

Atesia: Ieri la protesta dei precari sotto la sede della società

Ieri la protesta dei precari sotto la sede della società
- di Redazione -
Alzano la voce i giovani del Collettivo precari Atesia, che ieri mattina hanno organizzato un'assemblea sotto la sede della società di call center in via Lamaro. Gli accertamenti degli ispettori provinciali del lavoro sui 3.200 dipendenti hanno stabilito che tutti loro hanno svolto un vero e proprio lavoro subordinato, da convertire secondo la normativa vigente in un contratto a tempo indeterminato con tutte le tutele connesse. «È veramente singolare - ha affermato uno dei promotori della protesta - che Alberto Tripi, il titolare dell'azienda, minacci di chiudere tutto e andare all'estero.
Noi stiamo chiedendo soltanto di applicare la legge». Intanto per il 9 settembre è stata fissata un'assemblea nazionale dei call center.

Scuola, inizio con i precari in piazza

Dagli asili nido alle materne e fino ai Licei, il personale docente minaccia lo sciopero contro il governo
di SUSANNA NOVELLI

DALLA PROTESTA di ieri mattina dei presidi delle scuole superiori davanti al Ministero della Pubblica istruzione, agli insegnanti supplenti di asili nido e materne della Capitale, che da ieri sono scesi sul piede di guerra. È il mondo del precariato scolastico che, a ridosso del suono della prima campanella dell’anno fanno sentire le loro ragioni. Nella Capitale è una situazione che riguarda oltre 400 docenti che inseriti nella seconda fascia, quella dei supplenti con almeno 150 giorni di servizio, assistono allo scorrere delle graduatorie altrui per quanto riguarda l’assegnazione degli incarichi annuali. Si tratta, insomma, di maestri e maestre che da oltre dieci anni vivono nella precarietà e che proprio quando era stato concordato un «piccolo» diritto, quello cioè di scegliere la sede di lavoro in base all’esperienza maturata, si sono visti «scorrere» davanti altri nomi. Nel particolare, la protesta riguarda i partecipanti al concorso risultati ideonei ma non vincitori e ai quali verrebbe data la possibilità di scegliere la sede di lavoro in modo prioritario rispetto ai colleghi che per titoli, anzianità e tanto di delibera, avrebbero la precedenza. Ma stavolta la protesta non si fermerà a qualche ora trascorsa sotto un assessorato nell’attesa di essere ricevuti. L’«esercito» dei precari capitolini minaccia lo sciopero della fame e ha già consultato gli avvocati per intentare causa. Una questione di «posti», dunque. E non solo. La minaccia più grande arriva infatti dalla direzione nazionale della Gilda degli Insegnanti, che si è riunita ieri a Roma e che in una nota chiarisce ancor prima del ritorno sui banchi la posizione del sindacato. «Esaminata la situazione politico-sindacale e rilevato che, in vista dell'apertura dell'anno scolastico, il Governo non ha dato seguito agli impegni assunti in campagna elettorale, invita l'Esecutivo -si legge nella nota del Gilda - a dare subito risposte concrete sul rinnovo del contratto di categoria, sulle immissioni in ruolo dei precari, sull'abolizione del doppio punteggio nelle scuole di montagna e sulla modifica delle tabelle di punteggio per titoli di perfezionamento , master e specializzazione». Inevitabile poi, il riferimento alla riforma Moratti la Gilda chiede «l'immediata cancellazione del portfolio e il ripristino dell'orario di servizio precedente alla riforma» e avverte che «in assenza di tempestivi riscontri da parte del Governo e del ministero della Pubblica Istruzione, la Gilda degli insegnanti chiamerà i docenti alla mobilitazione». Dagli asili nido ai Licei, insomma, l’autunno scolastico si presenta molto più caldo dell’estate appena passata.

(Il Tempo, martedì 29 agosto 2006)

25.8.06

"Precarietà nel lavoro, precarietà degli affetti”

4 concorsi per 20 borse di studio della Scuola di Cinema Sentieri selvaggi

La Scuola di Cinema Sentieri selvaggi mette in palio, quest’anno, n. 20 borse di studio: cinque per il corso di sceneggiatura, cinque per il corso di regia, cinque per il corso di critica e cinque per il corso di recitazione!
Possono partecipare ai concorsi tutti coloro che abbiano compiuto il 18° anno di età e non abbiano superato il 30° anno di età alla data della scadenza del bando. Termine ultimo per l’invio delle domande è il 30 settembre 2006 (gli elaborati giunti alla redazione oltre la mezzanotte del 30 settembre 2006 non verranno accettati).
Le domande di partecipazione possono essere scaricate on line alla pagina http://www.sentieriselvaggi.it/foto/ss/domanda.doc e inviate, insieme agli elaborati (comprensivi del titolo e del nome e cognome dell’autore) esclusivamente per posta elettronica – all’indirizzo infoCHIOCCHIOLAsentieriselvaggi.it.
Si accetteranno solo documenti in word, font arial, corpo 12. Tutti gli elaborati che non rispetteranno questi formati non saranno presi in considerazione.

Stabilizzazione dei precari, cauto ottimismo

LAMEZIA TERME - Un cauto apprezzamento è quanto esprimono i sindacati unitari di base RdB/CUB - www.rdbcub.it - in merito alla volontà della giunta Regionale della Calabria, in accordo con il governo nazionale, di stabilizzare circa 2.500 precari nella nostra regione Calabria.
La cautela è non è mai troppa qui in Calabria, dove si sogna con facilità, sottolineano i dirigenti delle RdB/CUB, infatti, prima di esprimere un giudizio definitivo, desiderano conoscere sia i dettagli dell'iniziativa, che il futuro degli altri 5.500 lavoratori precari della regione, perché su 8.000 lavoratori non si può pensare di stabilizzarne solo il 30%, abbandonando gli altri al proprio destino.
Per quanto concerne le 2.500 stabilizzazioni, tra l'altro, le RdB chiedono che i criteri vengano stabiliti e concordati con i rappresentanti dei lavoratori (e soprattutto con il fattivo contributo dei precari stessi) e non derivino, invece, da scelte "politiche" che passino sulla testa dei lavoratori a "tempo determinato".
Per questo, come è ovvio, la federazione regionale si aspetta di essere preliminarmente convocata dal presidente Agazio Loiero, nella aua qualità di governatore della Regione Calabria, per affrontare al più presto la questione.
In tutti i casi, se questo primo passo, andasse verso l'eliminazione radicale del lavoro precario, non possiamo che esserne contenti, osservano i dirigenti sindacali RdB/Cub, a condizione, però, che si pongano sin d'ora le basi perché tutti i contratti precari si trasformino in contratti a tempo indeterminato e, a breve, le assunzioni riguardino anche i restanti 5.500 lavoratori.
A questo proposito, giova ricordare che le RdB/CUB, da sempre sensibili ai problemi dei "più deboli", hanno depositato giusto il mese scorso, una proposta di legge per la stabilizzazione completa e definitiva dei precari nella Pubblica Amministrazione.
Al presidente Loiero, che sta dimostrando una particolare sensibilità verso il problema, le RdB/Cub, tramite il lametino Luciano Vasta, responsabile regionale della Federazione di base, chiedono di dare un appoggio a questo progetto, anche perché l'eventuale adesione del presidente della Giunta potrebbe dare maggiore forza all'iter legislativo, non prima, però, di aver avuto anche su questo un incontro per illustrare nei dettagli la proposta di legge.
Fonte: ilquotidianodellacalabria.it

Call center, il girone dei nuovi Cipputi. Al telefono per sette euro l'ora

Chi sono e quanto guadagnano i giovani senza posto fisso
Un esercito di 250mila atipici, tutti "schiavi elettronici della new economy"

di BARBARA ARDÙ

ROMA - La fabbrica creava alienati. Quegli uomini alla Charlie Chaplin di Tempi moderni che continuavano a stringere un bullone anche quando era suonata la sirena dell'uscita. Il call center partorisce invece uomini e donne stressati.

Ritmi di lavoro e perenne incertezza sul futuro sono i suoi ingredienti. Che messi insieme o mal miscelati possono diventare esplosivi. Per andare in bagno bisogna attendere che scatti il semaforo verde. Tra una telefonata e l'altra non c'è riposo, neanche un minuto. E ogni volta che si prende in mano la cornetta c'è un contatore che avverte quando è ora di chiudere la comunicazione. Un controllore "anonimo", ma infallibile, che forse fa rimpiangere il vecchio ufficio tempi e metodi di tayloriana memoria che misurava, cronometro alla mano, l'efficienza di Cipputi alla catena di montaggio.

I nuovi Cipputi sono loro, gli operatori di call center, 250mila persone in tutta Italia (80mila occupati con contratto a progetto secondo Assocontact, l'associazione di categoria). Molti lavorano al Sud, perché è lì che le aziende, in tutto 700, trovano conveniente installare i call center. Rispondono al telefono in media per cinque ore al giorno, secondo un'indagine di Rifondazione comunista. Guadagnano tra i 5 e i 7 euro l'ora. All'azienda ne costano 9-10 euro se la lavorano a progetto, 16 se hanno un contratto a tempo indeterminato.

Sono per lo più giovani, venti, trent'anni, ma anche quaranta e quasi tutti hanno un titolo di scuola media superiore, qualcuno ha in tasca anche la laurea. Sono assillati, secondo l'indagine di Rifondazione, da mobbing, ripetitività delle mansioni, mancanza di prospettive e condizioni ambientali di lavoro. Subiscono pressioni di ogni genere. Dalle ferie negate, al consiglio di non ammalarsi, perché rischiano di non essere riconfermati, alle chiamate per Pasqua, Natale, i mesi estivi.

Fanno tutti la stessa cosa, parlano al telefono. Ma c'è una sottile distinzione. Ci sono gli inbound, cioè coloro che rispondono alle domande delle persone che telefonano e gli otbound, quelli che invece alzano la cornetta per chiamare persone cui sottoporre domande per indagini di mercato. I primi, secondo l'ultima circolare del ministero del Lavoro, possono aspirare a un contratto a tempo indeterminato. Gli altri, invece, potrebbero essere inquadrati anche come lavoratori a "progetto". Una distinzione che fa una certa differenza. Di sicuro sono tutti scontenti.

Francesco, il nome è di fantasia, è impiegato da dieci anni alla Atesia, l'azienda obbligata dagli ispettori del lavoro di Roma, ad assumere a tempo indeterminato 3200 lavoratori attualmente a progetto. Ha 40 anni, è sposato e lavorando per 5 ore al giorno guadagna intorno ai 600 euro al mese. Viene pagato in base al numero di telefonate fatte. Talmente tante che alla fine la concentrazione sparisce. "Dopo aver risposto a 120 chiamate in quattro ore spesso esco dall'ufficio salgo in macchina e ho delle difficoltà a guidare", ha raccontato Margherita alla Cgil che ha intervistato dodici lavoratori dei call center di Genova.

Tutti "schiavi elettronici della new economy", come li definisce Claudio Cugusi, nel suo libro Call center, indagine impietosa su una categoria con contratti di lavoro dove a un certo punto compare un comma che recita: "gravidanza, malattia e infortunio sono causa di sospensione del rapporto di lavoro".

(25 agosto 2006)

24.8.06

Storie di ordinario precariato quotidiano (La Stampa)

Storie di ordinario precariato quotidiano
Le testimonianze degli ex co.co.co.
24/8/2006

«Da dieci anni sono precaria a 900 euro»
ROMA. L’ultimo anno in Atesia per M. e colleghi, è stato «catastrofico». Si guadagna sempre meno, nella speranza che presto arrivi un contratto «decente», a tempo indeterminato. M. ha 36 anni, maturità classica, è tra i più anziani. Entrata in azienda nel ‘96 lavora al 119, il servizio assistenza clienti Tim. «All’inizio mi hanno fatto aprire una partita Iva, poi me l’hanno fatta chiudere. Meglio così, almeno pagano i contributi». Un contratto rinnovato prima mese per mese, ora ogni tre. M. è pagata a contatto: «dipende da quante telefonate prendi. Se lavori tutto il turno, sei ore, per sei giorni alla settimana riesci ad arrivare a 1000-1200 euro. Io guadagno tra i 700 e i 900 euro, faccio il turno dalle 10 alle 16». A M. il lavoro piace: l’«elasticità degli orari» le permette di rimpinguare il suo stipendio. «Per un periodo mi guadagnavo qualcos’altro facendo la fotografa». Ma è stanca di non potersi prendere una vacanza o assentarsi per malattia. «L’azienda non ti paga le ferie, se ti becchi un raffreddore e resti a casa 4, 5 giorni sono soldi persi, molte donne vengono a lavorare col pancione perché non ti pagano neppure la maternità». E poi nell’ultimo anno, dice M., soprattutto con l’arrivo del nuovo capo, le cose sono peggiorate. «È capitato che per un paio di mesi non ti facevano arrivare le telefonate, lavoravamo le stesse ore ma prendevamo la metà. Prima se il flusso di contatti era alto, l’azienda alzava il prezzo, adesso zero: anzi, prima per noi un contatto rappresentava un guadagno di un euro, adesso sono 80 centesimi. Assieme al contratto arriva un tariffario: se non ti sta bene, ti mandano via. È come se ti licenziassero». A volte lo stipendio di M. non corrisponde ai calcoli, «capita che non ti diano tutto quello che devono». M. spera in un contratto a tempo indeterminato. «L’accordo che volevano fare con i sindacati era ridicolo: contratti a tempo indeterminato con turnazione, 600 euro al mese, che non ti davano la possibilità di fare altro lavoro. Avrebbero riguardato i lavoratori più vecchi come me». Le cose non cambieranno fino a gennaio, è la voce che circola in azienda, dice M. che parla anche di un «clima di terrore. Agli ultimi scioperi eravamo sempre meno, anche perché ad alcuni precari sindacalizzati non hanno rinnovato il contratto. Se ti fai notare rischi il posto».

La signora G. 700 euro e figlio a carico
ROMA. Lap. Dietro questa fredda sigla c'è la storia di G., 42 anni, da quasi quattro in Atesia, una donna che si sta separando e che con il suo stipendio deve mantenere un bambino di 5 anni e arrivare a fine mese. Lavoratore a progetto per il 119, il servizio assistenza clienti Tim, G. fa sempre lo stesso turno 9-15 per stare con il figlio e non affrontare l’ulteriore spesa di una babysitter. «Se ti va bene arrivi a 700 euro al mese, senza ferie, malattie e maternità pagate. Un disastro. Pago quella cifra solo di affitto, mio marito mi passa qualcosa ma mi restano 400-500 euro per vivere e pagare le bollette». Un altro problema è l’assistenza sociale. «Non ci sono strutture per i bambini, d’estate devi iscriverlo a un centro estivo, l’assistenza te ne paga 10 ore e nient’altro. Ma poi ti si appiccica, vivi nel terrore che ti tolgano tuo figlio dopo esserti piombati in casa a fine mese e aver visto che hai il frigo vuoto». Poi, al lavoro, c’è l’obbligo dei «briefing», i corsi di formazione. «Ti pagano 9 euro lordi al giorno, e perdi il guadagno di quella giornata. Si fanno quando decidono che devi cambiare attività. Ma sono due mesi di apprendistato sprecati, per imparare un nuovo lavoro che nessuno garantisce ti terrai. C’è gente che è stata buttata fuori dopo due mesi. Atesia è una macchina stritolapersone, non sai mai chi ti ha fatto cosa, se ti buttano fuori nessuno sa niente». G. vorrebbe restare nell’azienda a tempo indeterminato ma non alle condizioni che poneva l’accordo tra Atesia e sindacati, poi bloccato. «Dicevano che ci avrebbero assunti a fine settembre. Era un contratto part time, a turnazione. Avrei dovuto cercarmi una babysitter per non lasciare mio figlio da solo. Meglio la situazione attuale. Mi sono ammazzata di lavoro ora che mio figlio è con suo padre per qualche giorno, sono arrivata anche a 10 ore al giorno, così quando torna posso stare con lui. Con quel nuovo tipo di contratto la mia vita sarebbe stata scombussolata. Su 400 persone forse solo la metà ce l’avrebbe fatta ad affrontare un cambiamento del genere. Ma G. è ottimista. «Quello che sta accadendo può rivelarsi un bene anche se sono anni che ci prendono in giro con le assunzioni. Se volete darci i turni dateci il full time». Le alternative per G. sono pochissime. «Dove vado a 42 anni? Se perdo il lavoro chi mi prende?».

Call Center , con il nuovo governo finisce il precariato a vita

Giovedì, 24 agosto 2006
Economia
A un anno dall´esposto del Collettivo Precari Atesia, l´Ispettorato del Lavoro risponde: il lavoro nel call center più grande d´Italia è lavoro subordinato. E come tale va regolarizzato: oltre tremila operatori del servizio telefonico con contratti "fantasiosi" dovrebbero essere assunti a tempo indeterminato mentre altri diecimila lavoratori – tra gli attuali e gli ex dipendenti – dovrebbero vedere regolarizzati i contributi previdenziali che hanno maturato dal 2001 ad oggi.

L´azienda si scaglia contro le decisioni dell´Ispettorato definendole «sconcertanti e contraddittorie», denuncia «l´inaccettabile e insostenibile turbamento del mercato» e minaccia la crisi che «obbligherebbe le aziende a fare a meno di 50/60 mila lavoratori». Come dire: sopravviviamo solo se sfruttiamo. E sì, che da tempo Atesia pubblicizza utili da capogiro (53 milioni di euro solo nel 2004), vanta 300 mila contatti ogni giorno e assapora l´idea di quotarsi in borsa.

Già nel 1998, un´altra ispezione aveva denunciato l´irregolarità delle forme contrattuali del call center di Cinecittà. Ma un accordo tra azienda e sindacati aveva fatto rientrare negli argini la situazione. Ora, il rischio è che i risultati dell´ispezione cadano di nuovo nel nulla, anche se la Nidil, organizzazione dei lavoratori atipici della Cgil, ha già accolto con favore questo «passo ulteriore verso la cancellazione delle illegittimità nell'utilizzo dei contratti di collaborazione».

L´esposto, ai precari di Atesia è già costato caro, considerato che in questi anni di lotta, cinque persone sono state licenziate e ad altre 400 non è stato rinnovato il contratto. Guarda caso, la stragrande maggioranza dei mancati rinnovi ha colpito esponenti o simpatizzanti del collettivo.

Ora, con la fine di settembre, si avvicina una nuova scadenza contrattuale, che ha già fatto incrociare le braccia ai lavoratori, delusi dalle ipotesi che l´azienda ha in cantiere: contratti di inserimento – che per antonomasia dovrebbero riguardare nuovi assunti e non dipendenti già impiegati – contratti di apprendistato – che suonano vagamente ridicoli a chi magari lavora in Atesia già da qualche anno – e infine altri co.co.pro.

Il tutto condito da una liberatoria che ogni «collaboratore» è costretto a firmare ad ogni rinnovo di contratto in cui dichiara di non aver svolto in passato nessun lavoro subordinato in Atesia ma esclusivamente attività autonome.

Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Cesare Damiano per ora ha evitato di intervenire direttamente sul caso Atesia, riservandosi di leggere i risultati dell´ispezione. Ma si dice già certo che la situazione lavorativa di questi immensi centralini non può restare così com´è.

«A partire dal 15 settembre cominceremo con le ispezioni di accompagnamento - ha detto il ministro – per spiegare alle imprese quali sono i nostri intendimenti: tutto ciò che è lavoro subordinato va classificato in questo modo, quindi, tutto quello che è lavoro a progetto e ricade nella normativa del lavoro subordinato dovrà essere trasformato in lavoro subordinato».

D´altro canto, già la circolare ministeriale del 14 giugno scorso andava in questa direzione, distinguendo il lavoro nei call center tra chi presta un servizio per grandi aziende – e dunque svolge a tutti gli effetti un lavoro subordinato, con un committente, una postazione di lavoro, dei capi – e chi fa attività di promozione e sondaggi, dunque, in senso lato, segue un "progetto".

Ed è proprio a questa distinzione che fa appello Atesia per trovare un vizio nei documenti che la condannano all´assunzione dei suoi dipendenti e che, dicono, renderà «impossibile competere sul mercato e proseguire nel cammino virtuoso che abbiamo intrapreso».

Un cammino iniziato nel 1989 e che ha portato il gruppo Cos – di cui Atesia fa parte – a diventare un´azienda leader nel settore, fino a rappresentare il mercato italiano nelle classifiche internazionali nella gestione dei servizi di contact centre e nella realizzazione di indagini di mercato.

In altre parole, è il regno dell´outsourcing, ovvero di quel sistema per cui grandi aziende come Tim, Alitalia, Sky, Pirelli – per citarne solo alcune – appaltano servizi per i clienti e ricerche di mercato a società esterne.

Un giro d´affari milionario, che per i lavoratori però finora si è tradotto in una rincorsa forsennata al «contatto utile», l´unità di misura – dai 20 ai 90 centesimi – che separa ogni centralinista dalla fine del mese.

Paola Zanca
da www.unita.it

"Assumete quei tremila precari" La sinistra si divide sul call center

All'Atesia di Roma diktat dell'Ispettorato: "3200 tempi indeterminati"

Il ministro del lavoro Damiano prudente: esaminerò il rapporto

di LUCA IEZZI


ROMA - Crea imbarazzo nel governo e nella maggioranza il caso Atesia, una delle principali società italiane di call center, alla quale l'Ispettorato del lavoro ha imposto di assumere con contratto a tempo indeterminato 3200 lavoratori attualmente "a progetto". Prudente il commento del ministro del Lavoro Cesare Damiano: "Mi riservo di esaminare i documenti su Atesia, ma per ciò che concerne i call center in generale, 250 mila persone occupate in 700 aziende, l'obiettivo è di regolarizzare tutto il settore". Lo stesso Damiano ha fatto notare che le ispezioni su Atesia precedono la circolare del ministero di metà giugno in cui si elencavano le direttive per giudicare quali mansioni dovessero essere affidate a lavoratori dipendenti e quali potessero usufruire di rapporti più flessibili.

Sulla scia del caso-Atesia, nel centrosinistra tornano ad affiorare filosofie contrapposte sull'utilizzo del lavoro flessibile e sui contratti atipici. Una vicenda che fa da test al braccio di ferro "sotterraneo" su come rivedere, o cancellare, la legge Biagi. Per il presidente della commissione Attività produttive Daniele Capezzone "l'Ispettorato del lavoro di Roma ha agito, nei confronti di Atesia, in modo ideologico ed estremista, scavalcando le stesse indicazioni del ministro Damiano". Anche Atesia e le aziende del settore contestano la decisione: il presidente dell'associazione di categoria Assocontact (Fita-Confindustria), Umberto Costamagna, avverte: "Se la decisione fosse estesa si minerebbe l'intero settore, mettendo in ginocchio le aziende e obbligandole a fare a meno di 50-60 mila collaboratori e mettendo a rischio altri 20-30 mila addetti assunti a tempo indeterminato".

Su questa linea l'ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, esponente della Margherita: "L'iniziativa di Damiano era diretta a chiarire la posizione dei lavoratori dei call center. L'ispettorato sembra intervenire in modo indifferenziato". Tesi contestata dal sottosegretario al Lavoro Rosa Rinaldi, di Rifondazione comunista: "L'azione ispettiva è stata avviata ben prima dell'insediamento di questo governo, ancor prima dell'emanazione della circolare del ministro che non ha certo efficacia retroattiva, ne può in alcun modo interferire sull'autonomia e legittimità dell'azione ispettiva".

Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni chiede un tavolo con aziende, governo e sindacati: "Fino a due anni fa i lavoratori dei call center erano in larga parte "co. co. co". Abbiamo fatto un accordo difficile e oggi la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore è in regime di lavoro dipendente. Se serve un ulteriore accordo tra sindacati e imprese siamo pronti a farlo ma non devono essere gli ispettori a decidere".

C'è anche chi applaude alla decisione. Giorgio Cremaschi, membro della segreteria della Fiom, dice che "è necessario che il governo assuma ed estenda queste interpretazioni in tutto il settore dei call center". E il segretario confederale dell'Ugl, Nazareno Mollicone: "È poco credibile che i più di tremila lavoratori abbiano ciascuno un progetto da svolgere e non siano, piuttosto, dei dipendenti legati alla nuova catena di montaggio costituita oggi dai call center".

La posta in palio dunque è alta. Tutti i sindacati confederali, contestati in questo dai "duri" dei Cobas, temono che l'intervento degli ispettori possa penalizzare un'opera di progressiva regolarizzazione dei lavoratori nel settore frutto del dialogo con gli imprenditori. In particolare nel gruppo Cos-Almaviva di cui fa parte Atesia (che lavora per Tim e Wind), ma anche altre società che l'imprenditore Alberto Tripi ha creato con i propri clienti (Alicos con Alitalia e InAction con Fiat), potrebbero saltare tremila nuove assunzioni stabili, che andrebbero a raddoppiare il numero dei lavoratori a tempo indeterminato sugli oltre 13 mila complessivi.

Dal punto di vista politico, poi, può rivelarsi un'arma a doppio taglio il fatto che l'interlocutore imprenditoriale, Alberto Tripi, è un sostenitore dell'Ulivo della prima ora, vicino alla Margherita ed in particolare al vicepremier Francesco Rutelli. In oltre vent'anni di attività, Tripi ha aggiunto al primo amore dell'informatica l'attività dei call center. Nel 2005 ha fatto il salto di qualità acquistando da Telecom la società di software Finsiel cambiando il nome in Almaviva. In entrambi i settori, oltre a servire le principali aziende private, si è aggiudicato commesse con ministeri e società pubbliche come i Monopoli di Stato. Un particolare che rende ancor più delicata ogni decisione sul tema.

(24 agosto 2006)

La crociata contro la legge Biagi, quella di riforma del mercato del lavoro, è partita (Il Tempo)

di FILIPPO CALERI
Ma chi conduce l’assalto non ha ancora le idee chiare su come cambiare le norme. Così ieri mentre il ministro del Lavoro, Cesare Damiano ha spiegato che lo strumento va modificato solo nelle parti che non funzionano, il collega di governo, il sottosegretario all’Economia, Paolo Cento ha espresso in maniera molto chiara la sua idea: «La legge Biagi è da cancellare» perché «ha moltiplicato precarietà sottraendo diritti e tutele al mondo del lavoro, e per un governo di centrosinistra dovrebbe essere punto irrinunciabile la sua cancellazione». Sarà stata forse questa non lieve divergenza di idee a creare una confusione di metodo e a far scatenare le truppe degli Ispettori del Lavoro che, martedì scorso hanno visitato una delle più grosse società di call center italiane, la Atesia del gruppo Almaviva, e hanno ingiunto ai vertici aziendali l’assunzione di 3.200 lavoratori impiegati con la formula del lavoro a progetto. Una vicenda che rischia di mettere a repentaglio migliaia di posti di lavoro e il confronto avviato tra governo, aziende e sindacati sui contratti nei call center. Gli ispettori insomma desiderosi forse di assecondare il nuovo corso di Damiano, che aveva annunciato controlli nel settore solo a partire da settembre, hanno portato però allo scoperto le differenze di pensiero sul tema del lavoro nella maggioranza. All’anatema lanciato da Cento contro la legge Biagi ha fatto da contraltare la cautela del responsabile del ministero di via Flavia che, sul caso della Atesia, ha in parte sconfessato i suoi stessi uomini. «Il problema di questa azienda è un problema antico, ed è precedente alla circolare del mio ministero: mi riservo di esaminare i documenti», ha detto Damiano, che ha tuttavia confermato le finalità delle sue direttive che dovranno riguardare 250 mila persone in 700 aziende. «Il criterio fondamentale per distinguere è il lavoro subordinato per gli inbound (come i contact center veri e propri) e il lavoro parasubordinato per gli outbound (chi fa ricerca di mercato o in generale promozioni commerciali)», ha detto il ministro che ha aggiunto: per Atesia «il ministero agirà sulle indicazioni contenute nella circolare». La vicenda, tuttavia, ha già alimentato il dibattito tra quanti plaudono la decisione degli ispettori e quanti la giudicano imprudente. Il segretario confederale dell'Ugl Nazareno Mollicone, ha giudicato «poco credibile che i più dei tremila lavoratori abbiano ciascuno un progetto da svolgere e non siano, piuttosto, dei dipendenti legati alla nuova catena di montaggio costituita oggi dai call-center». Più caute alcune rappresentanze dell’azienda che puntano soprattutto a portare a casa l’accordo per l'assunzione di nuovi 3 mila precari. «Atesia continui ad attuare il piano di stabilizzazione dei dipendenti, così come concordato», ha chiesto la Uilcom. La circolare di Damiano era diretta a chiarire la posizione dei lavoratori dei call center cercando di distinguere le posizioni di collaboratori e dipendenti», ha spiegato l'ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, secondo il quale, però, l'iniziativa «sembra smentita da un intervento dell'ispettorato che interviene in modo indifferenziato». Un intervento bollato invece come «ideologico ed estremista» dal presidente della commissione Attività produttive della Camera, Daniele Capezzone che teme si possano così «mettere a rischio 250mila posti di lavoro». Capezzone considera «apprezzabile» la prudenza di Damiano, ma preannuncia un'interrogazione sulla vicenda zanche per evitare che il Governo si faccia imporre la linea e la direzione di marcia da chi, come l'Ispettorato del lavoro, ha aperto una vera e propria crociata in modo, a dir poco, imprudente».

giovedì 24 agosto 2006

Lo sciopero generale «si sta avvicinando»

LO sciopero generale «si sta avvicinando».
Lo sostengono le Rappresentanza di Base del pubblico impiego, secondo le quali il ministro, Luigi Nicolais, «deve avere una scarsa considerazione dei dipendenti pubblici se pensa di addolcire la pillola giocando con i numeri: 4 miliardi in tre anni quando il rinnovo è biennale e già siamo fuori di otto mesi». «Le rassicurazioni circa l'apertura dei tavoli negoziali - affermano - è la ciliegina sulla torta. Hanno deciso le quantità, cosa resta da contrattare? Le riprese a settembre della conflittualità nel pubblico impiego ci sono tutte: scadenze contrattuali non rispettate, risorse irrisorie da impegnare, paventate ristrutturazioni della pubblica amministrazione finalizzate ad ulteriori tagli della spesa e dei servizi sociali, a forti riduzioni di personale che si coniugano con un precariato pubblico dilagante, in definitiva un progetto di smantellamento del pubblico impiego». Le Rdb, intanto, confermano lo sciopero del 6 ottobre dei precari della pubblica amministrazione. La polemica si estende anche alla questione fiscale. Nel mirino ci sono gli studi di settore che il ministro Visco vorrebbe rivedere. La Confartigianato è pronta a partecipare al confronto sugli studi di settore, ma, precisa il presidente Giorgio Guerrini, «mi auguro che sia l'occasione per un'operazione-trasparenza a 360 gradi, anche sui soggetti che ora non sono coinvolti negli studi di settore, come le società di capitali». Più in particolare, avverte il leader dell'organizzazione artigiana, «non siamo disposti ad accettare adeguamenti automatici agli studi di settore, nè proposte di catastizzazione dei redditi. Chiediamo invece una revisione degli studi di settore basata su criteri ordinari che rispecchino e rispettino la realtà economica. Vogliamo che sia fatta chiarezza sul maggiore imponibile scaturito dall'applicazione degli studi di settore e su quali interventi il governo intende attuare per i soggetti ai quali attualmente non si applicano gli studi». Ma soprattutto, conclude, la Confartigianato chiede all'esecutivo «che l'attuale approccio di identificare l'evasione fiscale soltanto con alcune categorie produttive venga sostituito dall'impegno a promuovere misure e interventi finalizzati allo sviluppo delle imprese». Intanto il presidente della Sose (Società per gli studi di settore), Giampiero Brunello, dice sì a un allargamento della platea dei soggetti interessati dagli studi di settore, ma mette dei paletti. «Il tetto di 5 milioni di euro può essere aumentato ma solo per alcune categorie. Per altre, come le attività professionali, il limite fissato è già troppo alto. E comunque bisogna concordare la revisione della soglia per gli studi di settore con le organizzazioni interessate». «Adesso la norma prevede che con il decreto di approvazione dello studio si possano fissare dei limiti diversi, inferiori rispetto ai 5 milioni di euro. Su questo si può lavorare anche per delle variazioni verso l'alto», afferma Brunello. «Per ciascuno studio si può arrivare a daterminare un limite anche superiore a 5 milioni, modificando la norma». «Ma è un'operazione che va rivisitata insieme a organizzazioni di categoria», afferma il presidente. Brunello critica poi le continue indiscrezioni su nuove revisioni degli stuti di settore: «Se stessero zitti farebbero una gran bella cosa». «L'effetto annuncio in una materia delicata come questa può creare delle situazioni di difesa da parte delle organizzaizoni che, di conseguenza, alzano le barricate.

giovedì 24 agosto 2006

«I precari pubblici hanno aperto la strada a quelli privati»

«I precari pubblici hanno aperto la strada a quelli privati»

24 agosto 2006 - Liberazione
Luciano Gallino sociologo del lavoro

La stupisce il fatto che ci sia più precarietà nella pubblica amministrazione che nell’industria?
No, non c’è niente di nuovo perché i precari del pubblico impiego esistono da decenni, soprattutto nella scuola e nell’Università. Nella pubblica amministrazione esistevano ed esistono tipologie di contratti dalla durata massima di 5 anni, più spesso di 3. Poi ci sono, prevalentemente nell’istruzione, i borsisti e i trimestrali. La pubblica amministrazione è sempre stata una fonte di precarietà e per certi aspetti ha precorso il privato lungo questa strada.

Ma non c’era il mito del posto fisso statale?

Quando si riesce a ottenere la cosiddetta entrata in ruolo sai che non ti possono licenziare: il mito del posto fisso stava soprattutto qua. No, il problema della precarietà del pubblico impiego è che è sottovalutata. I co. co. co. esistono da sempre, la legge 30 non li ha soppressi e nemmeno sfiorati, però nelle statistiche sono considerati autonomi, cosicché la loro quota credo sia ancora più alta, di almeno 3 o 4 punti di quella data oggi (ieri, Ndr) dal Censis.

Da cosa deriva questa diffusione di precarietà?

E’ un criterio molto preciso di gestione del personale, non a caso le occupazioni precarie si sono sviluppate molto al centro e moltissimo negli enti territoriali. Da 15 anni a questa parte c’è stata una forte espansione della precarietà nelle regioni e nei comuni per far fronte ai tagli dei trasferimenti dei fondi dello stato e poi perché ha avuto molto peso l’ideologia neoliberale per cui occorre ridurre al minimo il personale fisso.

Questo influisce sulla professionalità dei lavoratori e sui servizi offerti?

Non ci sono molte ricerche su questo aspetto, ma sarei incline a rispondere di sì. E uno dei fattori negativi è che quando le persone hanno un contratto a termine, cade da ambedue le parti l’interesse alla formazione, perché il lavoratore non ha intenzione di perdere tempo e al datore di lavoro non interessa formare un dipendente che sa che dopo un tot di tempo non ci sarà più. Un mercato in cui oltre il 50% delle nuove assunzioni avvengono con contratti a termine, come è successo lo scorso anno, contiene delle componenti patologiche da diversi punti di vista: non introduce alla coesione sociale e genera insicurezza a livello individuale e comunitario.

Non c’è alternativa alla precarietà? E cos’è la flessibilità buona?

Questo è quello che un giovane si vede offrire e appare come un muro, un fatto oggettivo contro il quale c’è poco da fare. Sarebbe diverso se invece politici, economisti e industriali iniziassero a considerare la globalizzazione non come una condizione ineluttabile, ma come un progetto economico a cui contrapporre altri modelli. Per esempio in altri Paesi, come la Germania, è stato operato uno scambio fra la sicurezza dell’occupazione e la flessibilità della prestazione: molte aziende hanno firmato contratti che garantiscono l’occupazione per diversi anni ma con variazioni di orario abbastanza consistenti. Non è una condizione leggera, ma se si applica in un quadro di sicurezza dell’occupazione, per certi aspetti può essere una strada da seguire.

Il governo italiano è orientato a far costare di più il lavoro atipico rispetto a quello a tempo indeterminato...


E’ sicuramente un disincentivo per la occupazione precaria, ma è molto più importante ridurre le tipologie di contratti a termine a non più di 5 o 6, che sono quelle che applicano alle imprese. Tutte le altre sono state studiate solo per individualizzare il rapporto di lavoro e incrinare le relazioni sindacali.

An. Mil.

“Flexsecurity”: Flessibilità e sicurezza nel nuovo mercato del lavoro

“Flexsecurity”: Flessibilità e sicurezza nel nuovo mercato del lavoro

Mercoledì, 23 agosto
“Flexsecurity”, ovvero flessibilità e sicurezza che vanno insieme nel mondo del lavoro, è questa la parola magica che ha apparentemente messo d'accordo l'ex ministro del Welfare Bobo Maroni e il suo successore, Cesare Damiano che, con Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl hanno partecipato al dibattito “Libertà nelle liberalizzazioni. Il lavoro atipico”.

A fare la differenza anche il modo di definire uno dei temi del contendere la Legge Biagi che per Damiano resta sempre “Legge 30”, ma non è stata la sola nota che ha marcato una differenza tra le posizioni di Maroni e Damiano. Per l'esponente leghista a spingere nella riforma del mercato del lavoro è stata la necessità “non tanto di avere più o meno flessibilità, quanto di occupabilità perché il mercato italiano non è permeabile e dalla sua rigidità deriva il lavoro nero. Con i nuovi contratti ci sono stati molti più ingressi nel mondo del lavoro”.

Maroni ha anche ricordato il potenziamento dato all'intermediazione e ha rivendicato all'azione politica del precedente governo l'input a rendere il mercato del lavoro più efficiente, mantenendo nel mercato del lavoro il più alto numero di lavoratori. “Sul mercato del lavoro italiano si sono scaricate troppe contraddizioni e polemiche” ha denunciato Bonanni, ricordando da una parte come ci siano più persone occupate, ma allo stesso tempo come la flessibilità all'italiana fatta di bassi salari e poche garanzie sia stata pagata soprattutto da giovani e over 50. Tuttavia “non è vero che la legge Biagi abbia creato il precariato”.

Per il sindacalista Cisl è importante che il governo insista nella lotta all'evasione “ci sono ben 250 miliardi l'anno di evasione fiscale e contributiva. La flessibilità non è precarietà, ma in Italia si è precari perché i più flessibili sono meno pagati e non hanno tutele”. Bonanni ha raccolto applausi a scena aperta quando ha sottolineato la necessità di “alzare i contributi per gli atipici” ha poi proseguito “finché non avranno più contributi, non avranno accesso alle tutele previdenziali o alla malattia la flessibilità è strumentalizzata dalle imprese perché sono meno costose”.

Lo Zapatero che piace al segretario Cisl è quello che ha fatto sì che il suo ministro del lavoro sia stato “tutore” tra sindacati e imprese, “e poi quando si è mosso ha dato la disponibilità finanziaria a sostegno delle parti”. Il ministro Cesare Damiano ha esordito con la dichiarazione sulla legge Biagi della quale non si prevede l'abrogazione, ma il superamento delle forme di precarizzazione e mettendo come premessa generale alla sua azione l'idea che “se ci sono cose utili del governo precedente le tengo, se ci sono quelle che non vanno o le si cambia o si portano correttivi”, ha poi ricordato come la Legge 30 “l'ho applicata sui call center, non sono un iconoclasta”.

Nella disamina sulla situazione attuale del mondo del lavoro ha ricordato da una parte come il prolungarsi della precarietà allontana soprattutto per i giovani il passaggio a una maggiore autonomia, dall'altra la sua idea di buona flessibilità. Ovvero quando un'azienda per far fronte a una domanda di mercato non prevista ha bisogno di nuovo personale, è precarietà quando invece a fronte di lavoro normale utilizza del personale “precario” per far costare meno il lavoro “E' una tendenza da combattere”, ha detto Damiano indicando nella proposta contenuta nel Dpef del cuneo fiscale e nella sua applicazione una delle ricette attraverso sconti e defiscalizzazione se collegato a forme di lavoro a tempo indeterminato.

Il lavoro parasubordinato dovrà costare di più, con più contributi aumentando le protezioni sociali. Un'emergenza italiana sono le morti sul lavoro. E lavoro nero e morti sul lavoro saranno al centro dell'incontro con sindacati e parti sociali in programma per il 30 agosto come ha annunciato il ministro del Lavoro che ha anche sottolineato la necessità di una maggiore qualità che è invece discesa quando precariato e lavoro nero diventano una componente essenziale. Disaccordo tra Maroni e Damiano su un dato: per l'ex ministro gli assunti a tempo indeterminato in Italia sono il 90 per cento, mentre per il suo successore occorre fare attenzione al fatto che meno del 50% degli assunti .

23.8.06

ATESIA & Ispettori INPS: comunicato RdB/CUB

comunicato su ispezioni call center ATESIA

Gli ispettori dell’INPS hanno contestato ad ATESIA la regolarità dei contratti di collaborazione utilizzati per sfruttare 3200 lavoratrici e lavoratori del mega call center.

Prontamente sono intervenuti sia il Ministro del Lavoro Damiano, sia il sindacato degli “atipici” della CGIL: entrambi con dichiarazioni in difesa della “necessaria flessibilità” delle imprese.

Ma non è una novità: il Ministro aveva già provato, tramite circolare ministeriale del 14 giugno, a fare un bel regalo alle imprese di call center, con la presunta regolarità dei contratti a progetto se l’incarico era riferito ai servizi di “outbound” (chiamate in uscita).

In più, sempre il Ministro Damiano, aveva dato indicazioni agli ispettori del lavoro di sospendere la propria azione per un periodo di “informazione” a favore delle imprese su come mettersi al riparo da sanzioni, contenziosi e simili.

Dall’altra parte la CGIL si è distinta, anche in peggio rispetto allo stesso Ministero, firmando accordi con ATESIA e con altre imprese, che derogano in peggio le normative della Legge 30, legalizzano il ricorso di massa ai contratti di collaborazione e di tipo subordinato ma comunque precario. Addirittura, in una nota, il Nidil-CGIL suggerisce la soluzione contro le ispezioni e i contenziosi tramite il ricorso agli accordi di regolamentazione.

L’INPS è giustamente a caccia di contributi previdenziali “evasi” tramite il ricorso di contratti atipici, il cui uso massiccio sta facendo diminuire in maniera preoccupante i versamenti pensionisitici, creando un danno collettivo notevole, negando prospettive di tutela ai precari.

Adesso di fronte a questa azione, ilsindacato NIDIL-CGIL e Ministro si ritrovano in sintonia nel denunciare la necessità di eliminare gli “abusi” ma non la “buona flessibilità”, uniti nel rilanciare la strada degli accordi concertativi che tanto danno hanno creato ai lavoratori ed anche all’economia reale del nostro paese.

Per la RdB/CUB l’unico lavoro precario “buono” è quello che viene trasformato in stabile: assunti davvero, è questa la nostra richiesta che verrà rilanciata nello sciopero generale nazionale già indetto per il 6 ottobre, contro la precarietà, per l’abolizione della legge 30 e del pacchetto Treu, per l’assunzione stabile dei precari a partire da quelli della pubblica amministrazione.

Roma 23 Agosto 2006

RdB/CUB

Call center: Damiano, regolarizzare lavoro del settore

Rimini, 12:55
CALL CENTER: DAMIANO, REGOLARIZZARE LAVORO DEL SETTORE

Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, intende regolarizzare l'occupazione degli oltre 200mila addetti ai call center e conferma la circolare del 14 giugno che autorizza il ricorso a forme di lavoro parasubordinato solo per i servizi "outbound", che sono quelle campagne con le quali i call center si mettono in contatto con potenziali clienti. E' quanto ha annunciato lo stesso Damiano conversando con i giornalisti durante il meeting di Comunione e Liberazione. Interpellato sul caso Atesia, l'azienda del gruppo Almaviva-Cos alla quale gli ispettori del lavoro hanno imposto l'assunzione di tutti gli addetti, il ministro ha fatto presente che esaminera' il caso. "Il problema di questa azienda - ha detto Damiano - e' antico. Le prime ispezioni risalgono a molti anni fa. Quest'ultima e' precedente alla circolare emanata dal mio ministero. Mi riservo - ha proseguito Damiano - di esaminare questi documenti". Per cio' che riguarda i call center e i 250mila addetti in 700 aziende, il criterio fondamentale - ha ribadito l'ex sindacalista della Cgil - e' che per le attivita' "inbound" (cioe' le risposte alle chiamate, n.d.r.) deve essere utilizzato il lavoro subordinato, mentre per l'outbound si puo' ricorrere al parasubordinato. Comunque, ha concluso il ministro, "vogliamo regolarizzare il lavoro in tutto il settore".

Call Center: Atesia su obbligo assunzioni, fara' ricorso

22 ago 20:32

ROMA - "Un grave precedente per l'azienda e per tutte le imprese che operano nel settore": cosi' COS-Atesia definisce la decisione dell'Ispettorato del Lavoro che ha imposto all'azienda l'assunzione di 3200 lavoratori a progetto in call center. Sono state infatti accertate le caratteristiche di lavoro dipendente. Le societa' hanno definito pero' "sconcertanti e contraddittorie" le conclusioni contenute nel verbale di accertamento "contro le quali la societa' si opporra' in tutte le sedi". (Agr)

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Call Center: Atesia dovra' assumere 3200 lavoratori

22 ago 17:44

ROMA - L'Ispettorato del lavoro ha chiesto alla societa' del gruppo Almaviva, Atesia, che si occupa della gestione di call center, di assumere 3200 lavoratori a progetto. Dall'ispezione emerge anche che la societa' dovra' regolarizzare il pagamento dei contributi per tutti i vecchi lavoratori della societa' per un totale di 8-10 mila lavoratori. Il gruppo Cos di cui Atesia fa parte, gestisce a sua volta i call center di tutti i principali gestori telefonici in Italia come: Alitalia e Meridiana, Sky, Rai, Pirelli e Barilla. Dura la reazione della societa' secondo la quale le richieste dell'ispettorato rappresentano un "grave precedente per l'azienda e per tutte le imprese che operano nel settore che puo' provocare un inaccettabile e insostenibile turbamento del mercato''. (Agr)

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Diritto al reddito, le Marche ci provano

Nelle Marche è in corso una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che prevede l’introduzione di un Reddito Sociale di 500 euro mensili e l'erogazione di servizi gratuiti (sanità, trasporti, cinema, teatro) per disoccupati e precari

La tutela del reddito ha un ruolo centrale e può essere perseguita attraverso tre strumenti: Sussidio di Disoccupazione (SD), Reddito Minimo Garantito (RMG), Reddito di Cittadinanza (RdC). Il SD, riguardando solo i disoccupati, non risolve il problema dei working poors, cioè di coloro che pur lavorando non escono dalla povertà. Il RMG assicura un dato livello di reddito: se i miei introiti sono inferiori a tale somma, lo stato li integra. Il limite consiste negli effetti disincentivanti perchè, fino al raggiungimento della soglia, il reddito non dipende da quanto si lavora. Inoltre comporta alti costi per individuare i destinatari e rischia di favorire gli evasori. Il RdC è erogato a tutti indipendentemente dalle condizioni lavorative o salariali e garantisce la libertà di non lavorare senza essere disincentivante: viene percepito comunque e il profilo reddituale è crescente rispetto a quanto si lavora.

La rivendicazione del RdC si basa su due tipologie di supporto teorico, da considerarsi complementari. La prima fa riferimento alle mutate condizioni di produzione del valore e evidenzia che “quando il tempo di vita viene messo a lavoro sfuma la differenza tra reddito e salario”. Tutti produciamo ricchezza sociale attraverso la nostra vita (relazioni, azioni, creatività) e il RdC rappresenterebbe la quota che spetta ad ogni individuo. Ne consegue un'implicazione perversa: la remunerazione dovrebbe essere differenziata tra gli individui, perchè non tutti abbiamo la stessa produttività sociale. Occorre quindi integrare con la seconda giustificazione del RdC: il diritto naturale al reddito. Ogni essere umano ha diritto di vivere, e nella nostra società questo significa diritto al reddito. Non si tratta di una remunerazione, non è la rivendicazione di una quota di ricchezza che si produce, ma è l'affermazione di un diritto che con le regole del capitalismo non ha niente a che fare. Il RdC è lo strumento efficiente per la generica lotta alla precarietà (non disincentivante, bassi costi di gestione), e il più appropriato politicamente in quanto introduce un elemento anticapitalistico. Si teme che il RdC possa accentuare la separazione tra lavoratori a tempo indeterminato e precari o spingere all'inattività, favorendo la frammentazione sociale, l'offensiva verso le garanzie conquistate, e finendo per essere uno strumento al servizio dei padroni.

Si suppone, quindi, che la coesione sociale e la voglia di ribellione vadano stimolati con interventi dall'alto e non che debbano essere costruiti dal basso. Al contrario, proprio il riconoscimento del diritto al reddito può assicurare quel potere decisionale sulla propria vita che in tal senso è fondamentale. Si sostiene che il RdC minerebbe il potere contrattuale dei lavoratori e ridurrebbe i salari. I padroni sostengono la tesi opposta: l'aumento del potere contrattuale farebbe salire i salari. Strano, ma hanno ragione i padroni. I dati OCSE mostrano una relazione negativa tra lavoro nero e spesa a tutela del disoccupato, che farebbe aumentare il potere contrattuale diminuendo la disponibilità della gente ad accettare impieghi irregolari. Il diritto al reddito non è la soluzione a tutto, ma è la base per la riappropriazione di spazi e tempi di vita. Esso non esclude la necessità, ad esempio, di agire sul mercato del lavoro (flexsecurity), sugli incentivi alla cooperazione, sulla gestione pubblica delle risorse energetiche. Ma in questo campo si possono individuare proposte che diano un senso concreto alla lotta contro la precarietà. Nelle Marche è in corso una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che prevede l’introduzione di un Reddito Sociale di 500 euro mensili e l'erogazione di servizi gratuiti (sanità, trasporti, cinema, teatro) per disoccupati e precari. Si tratta di un istituto che ricade nell'ambito del RMG. Ciò è dovuto all'esigenza di includere una norma finanziaria che consentisse di reperire nel bilancio regionale le risorse necessarie. Mentre a livello nazionale un RdC sarebbe finanziabile con una riforma complessiva, a livello regionale esistono meno margini di manovra ed è stato possibile ipotizzare solo un finanziamento per un RMG. Il principio ispiratore fa però riferimento al RdC, visto che l'art. 2 afferma che “La Regione Marche istituisce e garantisce su tutto il territorio regionale il diritto al reddito sociale”. Viene formalmente riconosciuta la separazione tra reddito e lavoro, si creano le basi per rivendicazioni future, e in presenza di altre iniziative simili anche il governo sarebbe sollecitato ad affrontare la questione.

Enzo Valentini
Dipartimento di Economia - Università Politecnica delle Marche

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Ferrero: La legge Biagi deve essere superata

La legge 30 "va superata, ma non basta". Lo ha detto a "Cortina In-con-tra" il ministro Paolo Ferrero, ministro della solidarietà sociale. Secondo Ferrero bisogna intervenire su altri fattori ai fini dell'aumento della competitività. Ferrero ha ricordato che "la Fiat ha migliorato le sue performance sul mercato, ma non in virtù della flessibilità del lavoro".

"Bisogna pensare di uscire dal circolo vizioso della precarietà e verificare se esiste una strada che tenga insieme maggiore sicurezza del lavoro, più fidelizzazione e anche un aumento della professionalità, nonché un aumento di spesa per ricerca pubblica e privata", ha sottolineato Ferrero. "Bisogna insomma trovare compromessi che non condannino i giovani all' incertezza del futuro".

Stefano Bombassei, vicepresidente di Confindustria, replicando a Ferrero, ha dichiarato che "flessibilità non significa automaticamente precarietà" e che per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro "questa non c'è più, in nessun paese del mondo". Soffermandosi sulla legge Biagi, Bombassei ha puntualizzato che "non si tocca perché ha aumentato veramente i posti di lavoro e i numeri non sono di destra né di sinistra, sono neutri". Secondo l'esponente di Confindustria, la legge Biagi "viene incontro di più alle esigenze dei lavoratori che delle aziende".

"Ferrero, la flessibilità non è cosa negativa - ha detto, rivolto direttamente al ministro della solidarietà il segretario della Cisl Raffaele Bombassei -. La legge Biagi non ha creato più precari né più posti di lavoro, ma ha sistemato ciò che c'era da sistemare di fronte alla latitanza delle parti sociali. I flessibili sono meno pagati e meno tutelati". "Caro Bombassei - ha poi aggiunto Bonnanni - questo è il problema. Oggi siamo in presenza di meccanismi che premiano chi vuol far di meno, non chi vuol far di più; chi meno si impegna, chi non è disposto a cambiare orario. Chi lavora di più, è tutelato meno, ha meno Cig, meno formazione, meno salari, meno previdenza".

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Precari di Stato. Per il Censis sono più nel pubblico che nell'industria

Precari di Stato. Per il Censis sono più nel pubblico che nell'industria

È la stagione del precario di Stato. Addio al mito del salario sicuro nella pubblica amministrazione, ormai è record di lavoratori atipici. Secondo un rapporto del Censis sono il 10% del totale, più che in fabbrica.

L'industria ha infatti un tasso di atipicità dell' 8%, che risulta di due punti inferiore a quello della pubblica amministrazione, dove l´8% lavoratori a tempo determinato si somma ad un 1,4% di collaboratori.

Ad essere investito dalla precarietà è in primis l´universo delle professioni non qualificate, dove si contano 22,4 atipici ogni 100 occupati. Ma l'atipicità dei contratti tende ad addensarsi anche nei gradini più alti della piramide professionale: il 10,5% nelle professioni intellettuali, il 18,4% in quelle tecniche intermedie e il 13,3% in quelle esecutive amministrative. Per i lavoratori a progetto, tale tendenza è ancora più accentuata: sono infatti concentrati in maggioranza nelle professioni tecniche intermedie (33%) e intellettuali (18,3%), e poco o nulla presenti tra quelle non qualificate (6,2%).

Il record di precari, secondo il Censis, si registra in quelli che dovrebbero essere settori "d´élite" del terziario. Attività ricreative, culturali, sportive, di ricerca e sviluppo: qui il tasso atipicità supera la soglia del 25%. Anche nel comparto dell'istruzione, pur non includendo solo idipendenti pubblici, i contratti atipici arrivano al 20,2%.

Pubblicato il: 22.08.06

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Il reddito in questione: risposta a Riccardo Bellofiore e Joseph Halevi

di Andrea Fumagalli

Bellofiore-Halevi scrivono:

"L’articolo di Vertova sul ‘reddito garantito’ (basic income: BI) ha messo i piedi nel piatto di una discussione dove troppe cose vengono date per scontate. Fumagalli e Lucarelli (FL) hanno il merito di tentare una risposta. E’ però l’unico merito. Il loro ragionamento, come anche quello di Morini, ribadisce le approssimazioni che Vertova aveva disperso. FL ragionano così: i) nel postfordismo dei paesi avanzati l’economia si terziarizza e l’occupazione è creata fuori dalla grande impresa manifatturiera; ii) a ciò corrisponde una immediata produttività del tempo di vita e delle relazioni nel territorio; iii) il capitale si appropria gratuitamente della più elevata ricchezza sociale; iv) il tempo di vita deve invece essere remunerato (reddito), integrando la retribuzione da salario; v) si tratta di una regolazione istituzionale che rende stabile il postfordismo, come la crescita del salario in proporzione della produttività (fisica) il fordismo; vi) il BI, cumulabile e incondizionato, non solo aumenta la produttività sociale, ma ne ridistribuisce i frutti e fa crescere la domanda; vii) è un compromesso tra capitale e lavoro, realistico (avvicina per passi al reddito di esistenza) e incompatibile (se elevato, il BI non è un mero sostituto dei sussidi di disoccupazione)"

Il riassunto del nostro pensiero è sufficientemente corretto, salvo due aspetti. Relativamente al punto ii.), la centralità della conoscenza come fattore produttivo autonomo (non incorporato nel capitale fisico) porta allo sviluppo di due tipi di economie di scala di tipo dinamico: le economie di apprendimento e di network. Le prime consentono la generazione di innovazioni e conoscenza in modo cumulativo, le secondo favoriscono la loro diffusione (processo limitato dall’estensione dei diritti di proprietà intellettuale, la nuova forma di proprietà che “comanda” il lavoro nel capitalismo cognitivoà grado di appropriabilità). E’ il funzionamento di queste due econome dinamiche di scala che implica e giustifica la "produttività del tempo di vita" e, come giustamente suggerisce Morini (che lo vive sulla sua pelle), "produttività delle soggettività".
Relativamente al punto vii)., basic income è il reddito di esistenza (non si avvicina per passi) è potrebbe rappresentare un compromesso sociale realistico e possibile solo se perde le caratteristiche di basic income (individualità, residenzialità, incondizionalità, universalità) per diventare mero sussidio di disoccupazione (come già oggi esiste in molti paesi). Per approfondimenti, cfr. A.Fumagalli, "Misure contro la precarietà esistenziale e distribuzione sociale del reddito", in Posse. Nuovi animali politici, Manifestolibri, maggio 2004, pp. 28-43.
Occorre poi aggiungere una considerazione generale che sta alla base del nostro lavoro. Il BI non è considerato l’unica misura da adottare per incidere sulla configurazione del capitalismo cognitivo. Ad esso vanno aggiunte altre misure, altrettanto importanti e fondanti:
1. la limitazione dei diritti di proprietà intellettuale verso forme di libera circolazione dei saperi;
2. l’introduzione di un salario minimo per i non contrattualizzati e l’esistenza di diritti di base (non discriminazione, salute, maternità, ferie, ecc.) a prescindere dal contratto di lavoro ma stabiliti e garantiti a priori.

continua

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Napoli: Una notte bianca illuminata dalle lotte sociali

Comunicato stampa 22/08

UNA NOTTE BIANCA ILLUMINATA DALLE LOTTE SOCIALI

Ogni estate come al solito viene accompagnata dalle stesse afose polemiche, la classe politica in pieno clima feriale non perde tempo a fare del gossip istituzionale il suo pane quotidiano.
Molto ferventi sono stati i commenti e le dichiarazioni sul problema-rifiuti, traffico e come tema centrale della polemica il rapporto delinquenza-indulto, una polemica a mezza voce senza approfondirne il contenuto per non avere l’effetto contrario della discussione, senza entrare in merito alla questione sociale dell’effetto-criminalità e devianza che sono la causa del fallimento di un sistema economico e politico che non è capace di garantire benessere e prosperità all’intera collettività.
Tanto si è parlato della “ nuova questione meridionale “ ed il caso-Napoli, tante sono state le voci che si sono unite allo stesso coro, alla stessa maniera per ritagliarsi quel minimo di popolarità mediatica, dal Presidente Napolitano ai proclami populisti di buona volontà pastorale del Cardinale Sepe che più volte ha giocato il suo consenso in quella periferia già sfruttata e più volte strumento di speculazione da parte delle amministrazioni locali in periodi di tornate elettorali.
Oggi si accentra la discussione a livello nazionale di una “ legge speciale per Napoli”, una legge di risorse e progetti per rilanciare lo sviluppo della più grande metropoli del Mezzogiorno, ma la solita inerzia ed infantilismo della nostra classe politica si attardano a farci capire di quante risorse e soprattutto quali saranno i progetti previsti, visto che le “famose” grandi opere sono ferme al palo, impantanate nella logica spartitoria degli appalti. Opere che più volte abbiamo ribadito potrebbero dare linfa e sicurezza creando migliaia di posti di lavoro per i disoccupati, precari e corsisti che allo stato attuale terminato il loro ciclo formativo attendono la partenza del progetto I.SO.LA., ancora in fase di stallo, mancano all’appello le imprese che dovranno prendere in gestione i corsisti nella loro esperienza lavorativa, di conseguenza manca ancora la certezza di una data di partenza concreta e definitiva che scredita i buoni auspici di fiducia e garanzie nelle dichiarazioni degli assessori locali nella lotteria delle date di avvio.
Ancora una volta si ripropone la NOTTE BIANCA come distrazione e tampone ai tanti conflitti e tensioni che si vivono nella città di Napoli, per coprire le tante contraddizioni quotidiane che le masse popolari vivono sulla loro pelle nelle precarie condizioni economiche e sociali, per dimenticare per una notte le vittime del lavoro precario e nero, giovani sacrificati all’altare del profitto, per dimenticare i tanti impegni presi dalle amministrazioni politiche nel dare risposte alle problematiche sociali e rivendicazioni di lavoro, casa e salario che allo stato attuale sono esigenze impellenti in questa epoca di incertezze, si vuole dare l’impronta di una città-cartolina, allegra e festosa da “ pensiero-borbonico “ che Bassolino e compagni ripropongono nel loro concetto. Le nostre rivendicazioni, la nostra lotta, le nostre iniziative smentiranno questo concetto-bassoliniano, la ripresa di una nuova fase e stagione di lotte sarà forte e presente nell’ampio raggio della metropoli, dove sicuramente noi proporremo la nostra presenza e la nostra campagna di contro-informazione politica nella tre giorni di feste della NOTTE BIANCA, non medieremo a tregue e compromessi per il tranquillo svolgimento della kermesse. NOI CI SAREMO ! i corsisti attendono serie e concrete risposte occupazionali per il loro futuro, non ci accontentiamo di proclami ed enfatiche dichiarazioni mediatiche della classe politica locale, sono aria fritta !

IMMEDIATO AVVIO DEL PROGETTO I.SO.LA.
GESTIONE PUBBLICA DELLE IMPRESE CHE PRENDERANNO PARTE AL PROGETTO
STABILITA’ OCCUPAZIONALE PER I CORSISTI

COORDINAMENTO DI LOTTA X IL LAVORO
Centro sociale- COORDINAMENTO PER I DIRITTI SOCIALI

www.disoccupati.org

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Lavoro: Ratzinger scavalca a sinistra il manifesto

Mentre i giornali confindustriali aziendali e industriali riempiono le loro pagine estive di inviti lavoristi, spalleggiati dagli articoli contro il reddito del Manifesto; mentre i sindacati confederali si stringono con i padroni, accerchiati dai precari, il papa (sì persino lui, il pastore tedesco rigido, dogmatico e conservatore che in gioventù faceva il nazista insiema a Gunther Grass) ha lanciato domenica un chiaro invito a non lavorare. O, almeno, a lavorare di meno.

Prendendo spunto da una lettera di San Bernando, Benedetto XVI ha ricordato che lavorare troppo conduce inesorabilmente alla "durezza del cuore" e ha consigliato di fare attenzione ai pericoli dell'"eccessiva attività" lavorativa.
Non solo: pare che il papa abbia (materialisticamente) parlato urbi et orbi, ma anche di se stesso. Per non indurirsi troppo ha ridotto i suoi impegni di etichetta. Piuttosto medita, legge, chiacchera. Resta da vedere se la "sinistra" - di solito così attenta agli sproloqui vaticani - saprà leggere questo invito papale come va letto: verso una riduzione del lavoro e una redistribuzione dei profitti.

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Assemblea nazionale per il reddito a Roma 16 Settembre

ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA IL 16 SETTEMBRE PER IL REDDITO E CONTRO LA PRECARIETA'

REPORT SULLA RIUNIONE NAZIONALE TENUTA A ROMA IL 2 LUGLIO DELLA RETE PER IL REDDITO SOCIALE ED I DIRITTI
Superata la lunga fase elettorale, conclusasi con il Referendum Costituzionale e con un quadro politico abbastanza definito, si è incontrata a Roma Domenica 2 Luglio la Rete per il Reddito Sociale ed i Diritti per valutare la nuova situazione politica e per rilanciare sul piano generale l’iniziativa per il diritto al reddito dopo un periodo che ha visto comunque una iniziativa articolata e diffusa su tutto i territori del paese.
Dalla vertenza con la Regione Lazio( presso cui è attivo da inizio 2006 il tavolo per elaborare la legge sul reddito sociale), a quelle della Campania contro” il reddito miserabile”( il sussidio a 34.000famiglie bisognose su 150.000 richieste) e della Basilicata, dove la legge regionale è divenuta operativa ma negativamente condizionata dall’ “integrazione al reddito familiare”; dalla partecipata May Day europea 2006 e a quelle diffuse sul territorio nazionale da Milano a Palermo, da Napoli a Firenze e Pisa, alla riuscita della Pop Parade tenuta a Roma il 28 giugno ; dalle iniziative di lotta per il diritto alla casa a quelle di tutela dei migranti e contro i Cpt, fino al sostegno delle vertenze contro la precarietà e per la stabilizzazione del posto di lavoro sia nel pubblico che nel privato, dai 600.000 precari della P.A, ai precari ospedalieri a quelli dei call center .
Nella riunione si è discusso anche di come dare una forte risposta all’azione repressiva contro le iniziative convocate dalla Rete per il Reddito il 6 Novembre 2004, che dopo un anno e mezzo ha fatto scattare 17 provvedimenti restrittivi, di cui 5 agli arresti domiciliari e 12 alle firme giornaliere e che ha fissato un maxiprocesso per 105 compagni/e per il prossimo 10 Ottobre. Una prima risposta è già stata data con l’assemblea del “Forum Libertà di Movimento” tenuta il 28 Giugno a Roma ed alla quale hanno aderito decine di parlamentari dei partiti della sinistra, giuristi democratici, avvocati e moltissime realtà di movimento che capiscono bene il significato generale dell’attacco che viene portato ad una iniziativa sociale e di massa come quella del 6 Novembre 2004 a Roma.

...segue....
Nella discussione sono emersi una serie di proposte e di elementi utili a riprendere già dal prossimo mese di Settembre le iniziative per lanciare la prima contrattazione sociale nazionale con il governo Prodi sulla questione del reddito, diretto ed indiretto, sulla base delle posizioni che la Rete ha espresso in questi anni di continua mobilitazione a livello nazionale e territoriale. Per questi motivi si è convenuto di riprendere il confronto e le iniziative sulla base di un comune ordine del giorno che propone:

1) La convocazione di una Assemblea Nazionale ampia e di plurale partecipazione da tenersi Sabato 16 Settembre a Roma. per riflettere sugli scenari presenti e futuri relativi alle problematiche del rilancio delle battaglie sul reddito sociale e contro la precarietà
2) Aprire subito un confronto diretto sul disegno di legge presentato negli anni passati sia come legge di iniziativa popolare sia come disegni di legge presentati da diversi parlamentari sia al senato che alla camera per verificare ed aggiornare il testo adeguandolo alla attuale situazione e legislatura con l’obiettivo di ottenere il massimo del coinvolgimento e di adesione.
3) Una iniziativa di lotta diffusa su tutto il territorio nazionale da tenersi attorno alla fine del mese di Settembre per dare una risposta forte al processo convocato per il 10 Ottobre e per rilanciare la lotta contro il carovita.
4) Ridare slancio alle reti locali e regionali per rafforzare la base sociale organizzata della lotta per il reddito. Lo sviluppo territoriale delle lotte e delle reti è una questione centrale nel sostenere questa nostra battaglia nei confronti del governo Prodi che per ora promette solo tagli alla spesa sociale come dimostra il nuovo DPEF.
5) Concepire tutta questa ripresa della attività in vista di una nuova Manifestazione Nazionale che dovrà essere discussa in termini politici e pratici più concreti all’assemblea del 16 Settembre.

RETE PER IL REDDITO SOCIALE ED I DIRITTI

http://www.lavorivariabili.it

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Reintegrato lavoratore alla Fiat Auto Pomigliano

FIAT, ILVA, PADRONI DI FINE 800, CONTINUANO I LICENZIAMENTI ILLEGGITIMI
In Fiat Auto, a fine giugno, ad otto lavoratori, viene impedito l’ingresso in fabbrica dalla vigilanza, e il personale comunica loro il licenziamento.
Contemporaneamente la Fiat notifica alle organizzazioni sindacali, preoccupazioni per il futuro produttivo dello stabilimento, causa, scarsa qualità del prodotto, alta microconflittualità, forte assenteismo, (malattie anomale).
La CUB FLMUniti impugna i licenziamenti, ritenendoli antisindacali e illegittimi, la prima udienza dopo due mesi, il P.M. ordina alla Fiat, il reintegro del lavoratore Narciso Pasquale, candidato alle ultime elezioni RSU Fiat Auto nelle liste della CUB, e licenziato pochi giorni prima del rinnovo.
Una sentenza che conferma la volontà punitiva della Fiat, pensare di intimidire i lavoratori, ridurre loro i diritti e trasformare la fabbrica in una caserma è un’intenzione a cui la FIAT e i PADRONI, non hanno mai rinunciato.
Nel contempo a Taranto, “TRE LAVORATORI licenziati per eccesso d'infortuni Dall'Ilva, campione dell'insicurezza”.
Qualche mese fa Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali, aveva convocato una conferenza stampa apposta per sostenere che «più del 30% degli infortuni che si verificano all'Ilva di Taranto sono anomali».
Anomali nel senso di fasulli, aveva fatto intendere, inventati per mascherare l'assenteismo.
La logica è la stessa, secondo cui la «colpa» degli infortuni, la malattia, la scarsa qualità è sempre ed esclusivamente della disattenzione e dell'imperizia dei lavoratori.
C'è una palese contraddizione tra non rispettare le norme di sicurezza e inventarsi un infortunio per starsene a casa a poltrire.
I licenziati, secondo le aziende, avrebbero fatto entrambe le cose.
Perchè l'azienda non ha contestato volta a volta le presunte irregolarità?
Tutti hanno capito che l’azienda ne colpisce pochi per ammaestrarne 13 mila.
L’intenzione è di trasformare le fabbriche in una caserma dove vige lo stato di polizia.
E' un comportamento antisindacale, un'inquietante scenario da fabbrica di fine Ottocento.

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Reddito e salario: si parte dal lavoro e dal conflitto (Giovanna Vertova)

il Manifesto, 15 agosto 2006

Una mia critica al basic income ha dato vita ad una accesa discussione su tre questioni-chiave: le novità del capitalismo contemporaneo; il lavoro cognitivo; la centralità della lotta dentro e contro il capitale.
Le posizioni di Fumagalli/Lucarelli, da un lato, e Bellofiore/Halevi e chi scrive, dall'altro, sono alternative. Per Fumagalli la vita produce ricchezza e valore: unico problema, la redistribuzione. Il capitalismo contemporaneo è accettato così com'è. Non un riferimento all'instabilità dei nuovi processi di valorizzazione, alle metamorfosi monetarie, ai conflitti geo-politici, all'insostenibile dinamica macroeconomica, alla nuova politica economica, quasi fossero irrilevanti. Fumagalli e Lucarelli, contraddittoriamente, vogliono essere realisti (un reddito di esistenza universale «può essere raggiunto solo gradualmente a partire da chi si trova nella condizione più sfavorevole di intermittenza di reddito o con lavori magari continuativi ma sottopagati») e incompatibili (il basic income deve essere elevato). La debolezza attuale fa elargire il basic income soltanto ad alcuni lavoratori, crea diritti differenziali, apre al ribasso del salario su cui ho insistito. Il desiderio fa sognare che quella debolezza mascheri una forza tale da infrangere le compatibilità strette del capitalismo flessibile.
La fantasia secondo cui la vita è «produttiva», sicché si retribuisce qualcosa di già dato, dovrebbe eliminare la contraddizione. Fumagalli e Lucarelli ragionano come se fossimo di fronte ad una appropriazione meramente politica da parte del capitale di una produttività che «naturalmente» spetta al solo lavoro sociale, e l'unico compito politico è riappropriarsi di quanto è già nostro. Peccato che, così come non esiste il capitale senza il comando sul lavoro, non esiste «produttività»' del lavoro fuori dall'inclusione nel capitale. Questo è il capitalismo: una classe decide cosa, come, quanto produrre; un'altra deve necessariamente vendere la propria forza-lavoro, «materiale» o «immateriale» che sia il lavoro erogato. L'antagonismo è possibile, ma ha come centro la produzione. Ciò non contrasta con l'introduzione di ammortizzatori sociali contro la precarietà, su un asse diverso da quello del basic income, per la indisponibilità della forza-lavoro a far dipendere la propria esistenza dalle convenienze del capitale. La divisione tra economisti è, dunque, tra chi ritiene che si debba guardare in faccia il capitalismo di oggi così com'è, e chi preferisce rivolgersi al mondo dei sogni.
Morini e Tajani si tengono al concreto. Peccato che ci diano una immagine discutibile della realtà del lavoro, con lo scivolamento discorsivo per cui l'analisi della precarietà (fenomeno che, in vario grado, investe tutti i lavoratori) si concentra solo sui lavoratori della conoscenza, per una loro presunta centralità empiricamente contestabile. Anche nel terziario la gran parte delle assunzioni è in lavori a bassa qualifica e basso salario. Nello stesso lavoro cognitivo la taylorizzazione procede spedita, e così i modi più o meno sofisticati di controllare e misurare il tempo di lavoro. La fine della teoria del valore per la presunta non misurabilità del lavoro affascina i teorici post-operaisti: non sarebbe male che la notizia arrivasse ai padroni che sembrano esserne all'oscuro. Anche Morini e Tajani si contraddicono: il lavoro cognitivo è alienante e ripetitivo, ma creativo. Il ragionamento è noto. Lo strumento di produzione è oggi la testa, non il braccio: dunque lavoro e vita si confondono. La natura totalizzante del capitale può essere così rovesciata. Il lavoro immateriale è oppresso, ma possessore della conoscenza e delle condizioni di comunicazione/coordinazione.
L'intervento di Freschi è prezioso perché ricorda che il mondo del lavoro è eterogeneo. Ridurre forzatamente all'unità un mondo plurale nega l'esigenza della riunificazione tra soggetti del lavoro differenti e con pari dignità, e sostituisce astrazioni vuote all'inchiesta concreta. Dentro il lavoro cognitivo è paradigmatico il caso del ricercatore precario. Le sue competenze sono sempre più riproducibili, codificabili, valorizzate selettivamente in processi organizzativi e regolativi segnati da rapporti di potere. Chi non crede ad una taylorizzazione spinta della conoscenza, dove si misura ciò che si pretende senza misura, dia una occhiata alle nostre università. Non ci si può attendere un cambiamento dalla mera garanzia del reddito, ma solo da una azione che sappia entrare nelle relazioni di lavoro per contestarne le asimmetrie di potere.
Sacchetto-Tomba e Gambino-Raimondi toccano il nodo centrale. Individuando, i primi, lo sfondo categoriale dietro il basic income. Un paradigma a stadi per cui dall'estrazione di plusvalore assoluto, tipico del primo capitalismo e oggi della periferia, si passa all'estrazione di plusvalore relativo nel capitalismo attuale. Ciò taglia fuori quattro quinti del pianeta, e cancella (come notano Bellofiore e Halevi) due cose. Primo: la periferia è ormai dentro il centro (e viceversa), anche qui da noi. Secondo: il capitalismo ipertecnologico e il lavoro cognitivo si nutrono di plusvalore assoluto e di lavoro materiale, nei vari angoli del pianeta. Il nuovo capitalismo si gioca sul controllo dei tempi e sull'incremento dell'intensità di lavoro, attraverso il progresso tecnologico, la diffusione spaziale e la frantumazione del lavoro. A ragione Gambino e Raimondi mettono in risalto la natura transnazionale del problema e le condizioni materiali del lavoro «migrante».
E' vero: mi sarà contrapposta la dialettica tra «ottimisti» e «pessimisti». Ma la chiarezza su come stanno le cose è il nostro primo dovere. Mi preoccupa la progressiva discesa nell'idealismo. Ancor di più tra gli economisti della sinistra radicale. Sul debito pubblico, sul conflitto distributivo, ora sulla precarietà, non si parte dal rapporto capitale-lavoro, dalla composizione di classe, dall'inchiesta, ma dalle buone intenzioni. Io rimango testardamente convinta che è dalle lotte nel lavoro, e contro questo lavoro, che si deve ripartire.

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Nasce Flexy Bar: storie che sembrano vere

Vieni anche tu sul nuovo blog di storie precarie. Rilassati tra un lavoro e l'altro al Flexy Bar!
Racconta la tua vita precaria e confessala al mondo: entra nel Flexy Bar.
Flexy Bar è il nuovo blog per tutti i precari e tutte le precarie: per conoscersi e incontrarsi.
Per ridere, piangere ed emozionarsi. Insieme.

flexybar.blogspot.com/

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7.8.06

Assemblea nazionale dei call center il 9 settembre a Roma

Assemblea nazionale dei call center il 9 settembre a Roma

Appello per una mobilitazione nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori dei call center


In quest’ultimo anno le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori hanno imposto all’attenzione di tutti il mondo dei call center.
Mass media, politici e istituzioni ne hanno esaltato lo sviluppo occupazionale e la flessibilità produttiva per contrapporlo alle denunce dei lavoratori sulle condizioni di lavoro che in tali luoghi si è costretti a subire in cambio di retribuzioni bassissime.
Ma le lotte esplose nei call center più importanti del panorama nazionale, unitamente ad alcuni isolati interventi dei servizi ispettivi di ASL e ispettorati del lavoro, hanno in parte imposto la vera realtà produttiva, mettendo in luce:
• il sistematico utilizzo di ogni forma di contratto precario, anche quelle palesemente illegittime, il lavoro a progetto, la somministrazione, il tempo determinato, l’apprendistato, il lavoro nero, tutte, quasi sempre, in versione part-time;
• i turni massacranti e gli orari di lavoro totalmente flessibili, la struttura fortemente gerarchizzata e le indebite pressioni esercitate sugli addetti al fine di aumentare i livelli di vendita di prodotti e servizi, la totale assenza di autonomia professionale e di possibilità di carriera, gli insostenibili ritmi e tempi di risposta, le pesanti condizioni di stress lavorativo, le gravi carenze dei percorsi formativi;
• l’abuso del contratto di lavoro a part-time (tanto da costituire la tipologia contrattuale prevalente sia nelle grandi aziende, come Telecontact center spa ed Atesia spa, che nei call center a “conduzione familiare”), quasi mai determinato dalla libera scelta della lavoratrice o del lavoratore ma individuato dal datore di lavoro quale strumento di ulteriore flessibilità attraverso il quale ottimizzare il rapporto tra riduzione del costo del lavoro e copertura delle fantomatiche “curve di traffico”;
• l’uso dei call center quale volano di esternalizzazione delle attività e di precarizzazione dei rapporti di lavoro, sia da parte della pubblica amministrazione che delle grandi aziende private.
Il call center, quindi, non solo luogo fisico ma anche precisa modalità organizzativa che, a seguito delle regole di flessibilità e precarietà vigenti, sta determinando un insostenibile disagio sociale e gravi ripercussioni sullo stato psico-fisico della stragrande maggioranza degli addetti, siano essi operatori con contratto a tempo indeterminato piuttosto che con contratti precari.
Contro tali condizioni, noi, lavoratrici e lavoratori dei call center e delegati RSU delle aziende del settore, riteniamo oramai irrinunciabile la costruzione di un percorso unitario di lotta di tutti gli addetti dei call center che realizzi, entro il mese di settembre p.v., una prima manifestazione nazionale.
In tal senso proponiamo di incontrarci in una ASSEMBLEA NAZIONALE, a ROMA, il 9
SETTEMBRE, dove elaborare la piattaforma rivendicativa comune e stabilire tempi e modalità delle iniziative di lotta.
luglio 2006.

Per info e adesioni: http://icc2006.oltreover.org email: iniziativecc2006@yahoo.it

Prime adesioni: Collettivo Precari Atesia (Roma), Collettivo Precari Telegate (Livorno), Marina Biggiero (Rsu COBAS del lavoro Privato - Telecom Italia 119 – Roma), Elisa Puddu (portavoce Zona deprecarizzata – movimento sindacale sardo), Mariano Cardili (Slai Cobas Cosmed – Catania), Riccardo De Angelis (Rsu FLMU-CUB Telecom Italia – Roma), Domenico Teramo (RSU COBAS del Lavoro Privato Telecom Italia – Roma), Manuela Giovanetti (Rsu FLMU-CUB Telecom Italia - Bologna), Pina R. (Slai Cobas Action – Arese), Luigi Glave (Rsu COBAS del Lavoro Privato H3G – Roma), Nicoletta Frabboni (Rsu FLMU-CUB MPF azienda esternalizzata Telecom – Bologna), Maxim Santelia (Rsu COBAS del Lavoro Privato Telecontct Center – Roma), Stefano Masala (FLMU-CUB Telecom Italia 119 Bologna), Giancarlo D’Amato (Cobas del Lavoro Privato Telecom Italia 187 – Roma), Nicoletta Salsini (FLMU-CUB Telecom Italia 191 – Bologna), Marco Vitelli (Cobas del Lavoro Privato Telecom Italia 191 – Roma), Alessandro Pullara (Rsu Cobas del Lavoro Privato Telecom Italia – Roma), Fulvio Macchi (Rsu SNATER Telecom Italia – Trieste), Giorgio Ziantona (Rsu FLMU-CUB Telecom Italia – Roma), Mauro Cittadini (Rsu SNATER Telecom Italia – Roma, Roberto Piazza (Rsu Cobas del Lavoro Privato Telecom Italia – Roma), MIkaela Petrocchi Rsa CUB Trasporti Call Center Alitalia, COBAS Sepa – Roma, COBAS Precari Call Center ex B2win/Acea - Roma

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Roma 4/8 Assemblea sulla casa con il ministro Ferrero

Venerdì 4 agosto alle ore 17.00, la Rete romana dei movimenti per il diritto all’abitare incontrerà il Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, in un dibattito pubblico che si terrà presso l’occupazione abitativa di Action, in Via Cesare De Lollis n. 6 a Roma.

DIRITTO ALLA CASA

DA SPECULAZIONE A BENE COMUNE

I movimenti di lotta per la casa di Roma propongono al Ministro della Solidarietà Paolo Ferrero un dibattito aperto per una nuova politica del diritto alla casa e
all’abitare

* * *

In questi anni abbiamo toccato con mano il fallimento delle politiche sulla casa operate da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del paese.
Politiche si sono incardinate attorno alla rinuncia a qualsiasi forma di intervento e di controllo pubblico, che hanno portato alla cancellazione dei finanziamenti per l’edilizia residenziale pubblica, alla dismissione del patrimonio pubblico e degli Enti Previdenziali, alla liberalizzazione selvaggia del mercato degli affitti, alle fallimentari politiche di sostegno al mercato (Bonus Casa etc..) e di incentivo all’acquisto che hanno contribuito ad appesantire ulteriormente le condizioni di vita di larghi strati di popolazione.

Una situazione di completo strapotere dei privati, che si fonde nelle grandi città con politiche di sviluppo urbanistico che hanno favorito solo e soltanto gli interessi dei grandi pescecani del cemento, che hanno reso sempre più la casa, da bene d’uso, investimento e bene speculativo.
Una situazione che si fonde, in una miscela esplosiva, con la precarizzazione del lavoro e della vita, condizione generalizzata che oramai coinvolge e travolge tutti e tutte noi accanto ai devastanti processi di esclusione e segregazione prodotti dalle attuali leggi sull’immigrazione.
Una realtà che a Roma come nelle grandi città alimenta, senza nessun freno, contraddizioni sociali ed emergenze sempre più forti ed acute: dalle occupazioni spontanee che sorgono ovunque ci sia una struttura abbandonata, dalle baraccopoli del 2000, alla quotidiana lotta per la sopravvivenza di chi è sfrattato o cartolarizzato; da chi migrante o studente fuori sede cerca di farsi largo nella giungla senza regole degli affitti; a chi sceglie di lottare ed occupa uno dei tanti stabili abbandonati della città per riconquistare un diritto negato ed un pezzo della propria vita; a tutta quella realtà, in parte ancora sommersa ma sconvolta da un sisma sotterraneo, di chi lavoratore precario (Co Co Pro, a Tempo determinato, apprendista, interinale, …), non ha accesso al mercato, di chi non ce la fa più ad arrivare alla fine del mese ad immaginare un progetto di vita ed un futuro.
Emergenze difronte alla quali la Delibera 110/05 del Comune di Roma ( che ad un anno di distanza dalla sua approvazione resta fra l’altro pressoché inapplicata), già si rivela uno strumento parziale e non adeguato in assenza di un radicale cambio di rotta in termini di politiche nazionali sulla casa.

Per questo, crediamo indispensabile affrontare la situazione attuale attraverso una ridefinizione complessiva delle politiche abitative che sappia
Aggredire le emergenze più impellenti e drammatiche ma che allo stesso tempo affronti in maniera organica e strutturale il PROBLEMA CASA.
Ripensare complessivamente l’emergenza casa significa, ovviamente, offrire una lettura dei bisogni sociali emergenti, immaginare una politica del diritto all’abitare come elemento centrale di una nuova sfera di diritti sociali e di cittadinanza. Significa in maniera decisa ed inderogabile, aprire una nuova stagione di interventi ed investimenti pubblici che non lasci più mano libera tanto ai “furbetti del quartierino”, quanto alle grandi banche mondiali e di guerra che gestiscono aree edificabili, fondi pubblici, che regolano a piacimento il mercato degli affitti e dei mutui.

I movimenti di lotta per la Casa di Roma, questo si aspettano Dal nuovo governo di Centro-Sinistra e per questo hanno invitato il MinistroDella Solidarietà Sociale Paolo Ferrero ad un dibattito pubblico che si terrà *Venerdì 4 agosto alle ore 17.00 presso l’occupazione abitativa di in Via Cesare De Lollis n. 6 a Roma.

L’Italia oggi è fra i paesi d’Europa che hanno il tasso più basso di edilizia popolare sul patrimonio complessivo (2-3% Circa ); riportare il livello di edilizia residenziale pubblica a livelli europei non è una semplice necessità, deve essere un imperativo categorico.

Per un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica che riporti l’edilizia residenziale pubblica al 10% del patrimonio complessivo.
Per rivedere i criteri di accesso all’ERP in considerazione delle trasformazioni del mercato del lavoro e del costo della vita.
Per modificare profondamente la 431, e superare l’affitto a libero mercato
Per un blocco generalizzato degli sfratti

Nessuna volontà di sgombero e nessun teorema giudiziario come quello che vedrà alla sbarra, i compagni e le compagne di ACTION, riuscirà a trasformare un emergenza sociale in un problema di ordine pubblico.
Mai si riuscirà a far passare chi lotta per un diritto negato e per un futuro diverso per un “delinquente organizzato”.
L’unica vera risposta alla situazione di emergenza abitativa che attraversa il paese non passano per le aule di tribunale: costruire ed attuare subito una vera politica per il diritto alla casa e all’abitare.

NESSUNO SGOMBERO,
NESSUNA CRIMNINALIZZAZIONE DELLE LOTTE SOCIALI
1 MILIONE DI CASE POPOLARI SUBITO!

Mercoledì 2 agosto ore 12.00, in via Casal De Merode 8
_Conferenza stampa della “rete dei movimenti per il diritto
all’abitare_” che lancerà l’assemblea pubblica con il Ministro Paolo Ferrero.

Venerdì 4 agosto alle ore 17.00, la Rete romana dei movimenti per il diritto all’abitare incontrerà il Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, in un dibattito pubblico che si terrà presso l’occupazione abitativa di Action, in Via Cesare De Lollis n. 6 a Roma.

Promuovono l’iniziativa:
Action-agenzia comunitaria diritti; Coordinamento cittadino di lotta per la casa; Comitato inquilini del centro storico; comitato popolare di lotta per la casa; Comitato obiettivo casa; Unione inquilini.

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