17.4.06

L 'imprevisto del precario

Primavera europea Gli intermittenti del Primo maggio dopo la vittoria in Francia.

«MayDay, MayDay». Non è un messaggio di pericolo, ma la chiamata a raccolta dei precari di ogni genere e tipo. Come ogni primo maggio, da ormai cinque anni, è lanciata nel web e risuona nei tam-tam informali di gruppi organizzati di intemittenti dello spettacolo, di schiavi della new economy, di chainworkers per creare momenti di incontro, di discussione e perché no di divertimento per uomini e donne condannati dal capitalismo postfordista a una permanente precarietà. Ma quest'anno c'è una novità che rende la «MayDay» una giornata decisamente europea. Già dal 2004 gli inventori milanesi del primo maggio dei precari avevano pensato che i «tempo determinato» non erano solo una prerogativa italiana, ma si potevano incontrare a Londra, Parigi, Helsinki, Barcellona, Berlino. Da qui la proposta di tessere la rete a livello europeo.
Un lavoro politico certosino, ignorato se non guardato con diffidenza dai sindacati «tradizionali», ad eccezione della sola Fiom italiana, che con la «MayDay» ha provato ad aprire un confronto. Poi c'erano state le mobilitazioni dei precari italiani, spesso locali, spesso isolate. A seguire ci avevano pensato, in Francia, gli intermittenti dello spettacolo, a rendere pubblico ciò che milioni di uomini e donne già sapevano. Infine, la primavera francese, la battaglia contro il contratto di primo impiego voluto dal governo di Parigi. Il suo ritiro è da considerare una vittoria senza se e senza ma. Dunque, la scommessa di lanciare nuovamente la «MayDay» a livello europeo per chiamare nuovamente a raccolta la «generazione precaria».
Strani precari quelli della May Day. Sono cresciuti nella società dello spettacolo e quindi usano disinvoltamente il linguaggio pubblicitario per sovvertire la realtà. Vivono con bassi salari e senza grandi garanzie, eppure rifiutano ogni immagine pauperistica della loro condizione. Agiscono localmente, eppure si sentono europei, anche se l'Europa che vogliono non ha nulla a che vedere con quella stabilita per legge dai lugubri palazzi di Bruxelles. Sono forza-lavoro, ma sbeffeggiano l'etica del lavoro. Avversano il populismo in salsa mediatica, ma frequentemente puntano l'indice verso quel centro-sinistra che a livello europeo ha aperto la strada alla precarietà in molti paesi del vecchio continente.
Ma guai a raffigurarli come bravi ragazzi, buoni tutt'al più per essere mostrati in televisione per poi rigettarli nella gabbia della loro quotidiana precarietà. Hanno oramai fatto il loro ingresso nella sfera pubblica e difficilmente l'abbandoneranno. Guai, quindi, a non rispondere a quella chiamata. Perché rappresentano l'imprevisto, l'inatteso che nell'azione politica è sempre l'occasione per riprendere il bandolo della matassa e ribaltare i rapporti di forza nella società.

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