12.4.06

Francia, hanno vinto i movimenti: abrogato il Cpe

Dopo due mesi di cortei, scioperi, blocchi e occupazioni, Chirac ritira il “Contratto di primo impiego”.

Grande sconfitto il premier de Villepin. Esultano studenti e sindacati che avvertono: «Rimarremo vigili»

Daniele Zaccaria
Il Cpe è morto e nessuno ha gridato «viva il Cpe». Dopo avergli dato l’estrema unzione nel week-end, il presidente Chirac lo ha seppellito ufficialmente ieri mattina alle dieci in punto con un laconico comunicato. Appena in tempo per non essere travolto dalle piazze, non per sottrarsi all’ennesima batosta politica del suo disastroso secondo mandato presidenziale. Come logica conseguenza si eclissa la pallida stella del premier Dominique Villepin, che fa la classica fine del fusibile (come si dice nel gergo istituzionale della Quinta Repubblica), avviandosi verso un maliconico declino politico. Sarà difficile che l’azzimato capo del governo, che ha gestito la crisi come un marziano catapultato sulla terra, potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2007. Stupisce semmai l’incauta ostinazione con cui ha difeso l’indifendibile provvedimento, anche quando lo stesso Medef (la confindustria transalpina), compresa la forza della piazza, lo aveva abbandonato al suo destino. Il “Contratto di primo impiego”, che di fatto avrebbe legalizzato il licenziamento senza giusta causa nei primi due anni di lavoro, verrà così sostituito da un dispositivo «per l’inserzione professionale dei giovani», spiegano dall’Eliseo e da Matignon. Nulla di molto chiaro e tutto ancora sul vago, ma il tempo di sorvegliare le prossime mosse del centrodestra e verificare che si tratta di un imbroglio, inizierà domani. «Manterremo alta la pressione per il voto in Parlamento», promette Bruno Julliard, giovane leader degli studenti. Non si fa fatica a credergli.

Oggi a Parigi è il giorno della vittoria. La vittoria dei movimenti, che non hanno mai perso il filo delle lotte, la vittoria dell’unità sindacale e dell’unità tra studenti e sindacati, del lavoro contro il mercato e, con un po’ di retorica giacobina la vittoria della democrazia diretta. Ma soprattutto hanno vinto i giovani, le vittime designate del Cpe, mano d’opera in saldo e in affitto, destinata a una vita intermittente e precaria, costantemente in ostaggio delle imprese. Sono stati loro i primi a mobilitarsi nelle assemblee universitarie e a dare il “la” a una contestazione che più è andata avanti, più raccoglieva il consenso della popolazione (il 65% dei francesi è contrario al Cpe). Alla fine ci sono voluti due scioperi generali, cortei con milioni di persone, otto settimane di blocchi stradali di occupazioni di fabbriche, uffici e quant’altro. Il tutto per giungere a un risultato che, se si osserva la recente storia del paese, in fondo non poteva essere diverso.

Al di là del grande movimento del 1995, che rispedì al mittente la riforma del sistema previdenziale preparata dall’allora premier Alain Juppé (altro pupillo di Chirac) e paralizzò la rete ferroviaria per più di un mese, il punto di riferimento è molto più vicino nel tempo. E’ il 29 maggio 2005, data del massiccio “no” al Trattato costituzionale europeo. Quel referendum è una fotografia della Francia odierna; una nazione impaurita dalle correnti fredde della globalizzazione, aroccata su un modello repubblicano d’altri tempi, ma sicuramente non disposta a svendere il proprio stato sociale, la proprie tutele per affidarsi ai cattivi cuochi del liberismo. Non lo ha dieci anni fa, in tempi di pensiero unico, figuriamoci oggi.

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