29.4.06

Appena laureati e già precari "Un film su noi ragazzi del limbo"

Perugia: due ex studenti scrivono e realizzano una pellicola su chi, come loro, deve affrontare l'incubo del "dopo"
Appena laureati e già precari
"Un film su noi ragazzi del limbo"
"Il primo sole" è una commedia ricca di storie ispirate alla realtà
"Altro che generazione da mille euro al mese, magari ce l'avessimo..."
di CLAUDIA MORGOGLIONE

Appena laureati e già precari
"Un film su noi ragazzi del limbo"

Sul set del film
ROMA - E' "una terra di nessuno" che i ragazzi tra i venti e i trent'anni conoscono bene: quel senso di vuoto che prende subito dopo la laurea, quell'ansia perenne per il futuro, quella continua caccia a lavoretti precari in attesa di una (fantomatica) grande occasione. "Spesso si parla di generazione da mille euro al mese - racconta il venticinquenne Giacomo Maria Pilia, da luglio dottore in Scienza delle comunicazioni a Perugia - ma nessuno si occupa della fase precedente, il limbo in cui siamo noi che abbiamo appena finito gli studi: perché nella nostra situazione magari averceli, i mille euro al mese...".

Uno sfogo tra i tanti, quello di Giacomo? No, lui non si è limitato alle generiche lamentazioni: fresco di laurea, ossessionato da "tristi serate insieme agli amici, tutti preoccupatissimi", ha deciso - insieme alla collega Carmen Nardi - di metterle nero su bianco, queste storie di ordinario precariato. Di farle diventare una sceneggiatura, che poi - attraverso il coinvolgimento di un loro docente, il regista Carlo Bolli - si è trasformata in un film vero e proprio: si chiama Il primo sole, dura 85 minuti, è attualmente in fase di montaggio. In attesa di trovare un distributore per le sale: già alcune società sono interessate al prodotto, e i realizzatori confidano che un accordo, con una di loro, prima o poi si troverà.

Girata in tre settimane, diretta da Carlo Bolli, interpretata sia da attori delle scuole di teatro sia da non professionisti che hanno passato i provini, la pellicola utilizza - come pretesto per raccontare le storie dei ragazzi del limbo - una festa di Capodanno: un'occasione che consente ai vari personaggi di illustrare le proprie esperienze. Con toni da commedia, per non appesantire la situazione. "Non abbiamo fatto altro che fotografare quella 'terra di nessuno' - spiega Carmen - raccontandola attraverso insicurezze e volontà di realizzare le proprie aspirazioni".

E di storie, dal materiale raccolto dai due ideatori del progetto, ne emergono tante. Giacomo ce ne racconta alcune in anteprima: "C'è un classico, la ragazza che è andata all'estero per trovare un po' di fortuna, con una borsa di ricerca; c'è quello talmente rassegnato a non trovare nulla che invece di pensare a se stesso osserva solo le disgrazie altrui; c'è il ragazzo che fa il parcheggiatore a Perugia, per raccogliere i soldi che gli servono per andare in Israele a studiare col suo docente". E poi naturalmente c'è la madre di tutte le difficoltà e di tutte le frustrazioni, "l'inevitabile esperienza nel call center".

Queste alcune delle situazioni tipo. Ma lo scopo del film, spiega ancora Giacomo, non è tanto quello di fare un campionario, "quanto il mostrare la situazione emotiva di chi fa parte di questo limbo. Di come il problema del 'cosa farò dopo' si ripercuota sulle nostre psicologie".

Insomma, il ritratto di una generazione sospesa tra due mondi: senza la spensieratezza della vita da studente, e senza nemmeno quel po' di sicurezza - per quanto precaria e sottopagata - di chi comunque una sua strada l'ha già imboccata. "Il cinema finora si è occupato o del prima, dell'università, o del dopo: il limbo non l'ha mai raccontato nessuno. Così abbiamo deciso di farlo noi".

Un'avventura durata alcuni mesi, che ha coinvolto in prima persona, insieme a Giacomo e Carmen, una trentina di ragazzi. Un'esperienza entusiasmante, per loro: prima il professor Bolli che li aiuta a scrivere la scneggiatura e che accetta di dirigerla, poi il coinvolgimento di una società di produzione, la HD, che ha finanziato per metà il progetto (rigorosamente low budget); poi ancora l'arrivo di una serie di sponsor che hanno contribuito ai costi, in cambio del cosiddetto product placement (l'apparire dei loro marchi nel film). E infine, la parte più divertente: l'esperienza sul set.

Certo, per giudicare il prodotto finale, bisognerà aspettare la (probabile) uscita nelle sale. Ma intanto, quei trenta ragazzi, un passo per uscire fuori dalla terra di nessuno l'hanno già fatto, realizzando il film. Anche se Giacomo, forse con un po' di scaramanzia, lo nega: "Io nel limbo ci sono ancora, eccome...".
(28 aprile 2006)

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28.4.06

Piattaforma del Coordinamento fiorentino precari

Appuntamento per l'EUROMAYDAY a Firenze: 1° maggio, Piazza San Marco, ore 10:30

CHE COSA CHIEDIAMO:

• Eliminazione dei contratti precari (pacchetto Treu e legge 30) e conseguente stabilizzazione, in tempi certi, di tutte le lavoratrici e i lavoratori precari del settore pubblico e privato.
• Introduzione immediata, nella fase di vuoto legislativo per quanto sopra, di tutti i diritti sindacali, assicurativi e pensionistici, e del diritto alla parità retributiva, per chi è sottoposto a contratti precari; garanzia per le lavoratrici e i lavoratori in appalto di trattamenti normativi e retributivi non inferiori a quelli delle aziende (pubbliche e private) e degli enti appaltanti.
• Introduzione del reddito sociale come assicurazione pubblica, gratuita ed universale, contro la disoccupazione, oltre che il sostegno in forma indiretta (servizi gratuiti, buoni spesa, casa, buoni vacanza, ecc.) per i bassi redditi.
• Assicurazione del diritto pregresso ad una

pensione pubblica
per coloro che in questi anni sono stati sottoposti a contratti precari, attraverso interventi contributivi e fiscali non a carico dei precari stessi.
• Introduzione del divieto di appalto per tutti i servizi ai cittadini erogati dalle amministrazioni pubbliche di ogni livello, e conseguente assunzione dei lavoratori occupati dalle ditte appaltatrici.
• Reintroduzione del divieto di intermediazione di manodopera, e adozione di provvedimenti per identificare e reprimere l'intermediazione occulta.

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Il sogno del precario è piccoloborghese?

Prospettive della jeunesse française
di MATTEO CESCHI

La mobilitazione studentesca che ha animato il marzo francese ha impartito a tutti noi un'importante lezione di reattività agli eventi e politici e sociali di una nazione. Gli italiani, occupati dall'aspra campagna elettorale, si sono interessati poco e superficialmente (abbiamo assistito a trasmissioni televisive troppo affascinate dall'aspetto in realtà marginale della violenza e interessate a confronti anche forzati con l'Italia) allo sviluppo di una protesta che, lo scorso 10 aprile, dopo un lungo periodo di malesseri sotterranei e un mese esatto di manifestazioni di piazza, hanno costretto il recalcitrante Dominique de Villepin a ritirare il Contrat de première embauche (C.P.E.).
Appoggiata inizialmente da gruppi di sindacalisti e da precari del mondo dello spettacolo – come in occasione del raggruppamento spontaneo di sabato 12 marzo 2006 a Parigi sul boulevard Saint Michel – la jeunesse française è riuscita in un breve arco di tempo a fare convergere nella protesta contro il provvedimento legislativo non solo l'impegno di una pigra e fino a quel momento apatica opposizione, ma anche alcuni dei problemi socio-economici dei giovani lavoratori delle banlieue.
Di fronte all'incredibile reattività del movimento STOP C.P.E. ai provvedimenti della politica nazionale e al grande consenso guadagnato dalla protesta tra la popolazione francese (inizialmente con una percentuale a favore del ritiro della legge intorno al 60%, salita all'inizio di aprile all'80%) bisogna necessariamente interrogarsi sulle motivazioni che hanno guidato gli studenti, universitari e liceali, e sull'ampia "capacità di inclusione" o sulla "convergenza delle priorità" che ha contraddistinto la mobilitazione fin dai suoi primi passi negli atenei di provincia.
Ci siamo rivolti a due docenti francesi che hanno seguito con partecipazione gli eventi, Sylvia Ullmo, professore emerito all'Università François Rabelais di Tours e coordinatrice dei vivaci dibattiti su controversi e attuali temi di cultura politica della società di studi americanistici SENA (sena.asso.fr), e Serge Bianchi, storico, specialista della Rivoluzione francese, docente all'Università di Rennes, per approfondire la natura delle attuali rivendicazioni della gioventù francese e inserirle correttamente negli ultimi quarant'anni di storia francese oltre che a colmare i numerosi vuoti lasciati dall'informazione dei media italiani.

Sylvia, come valuti i giudizi della stampa estera sugli eventi del marzo 2006?

Alcuni commentatori esteri hanno mostrato una totale incomprensione della rivolta studentesca e delle grandi manifestazioni che si sono fatte per il C.P.E. Sembra che all'estero sia inconcepibile che i giovani facciano "tanto rumore per nulla". I sostenitori del governo e le persone per cui il disordine non è tollerabile hanno la tendenza a presentare gli studenti e i sindacati come "ignoranti" e "stupidi", oppure incapaci di adattarsi al mondo moderno. A questo proposito si può leggere l'intervista al rettore dell'università Paris IV, pubblicata il 3 aprile sul quotidiano inglese "The Guardian", per cercare di mettere a fuoco il problema.
La Sorbona, per esempio, comprende cinque atenei diversi. Uno di questi è Paris IV, che è essenzialmente una facoltà umanistica. Paris IV non ha praticamente mai indicato direzioni innovative negli studi e la Geografia insegnata dal rettore Pitte di solito non contribuisce particolarmente alla comprensione delle crisi sociali e politiche. Paris IV è un luogo privilegiato e Pitte conosce molto poco i problemi degli studenti che devono lavorare part-time per mantenersi mentre frequentano l'università. Molti dei nostri studenti conoscono già la situazione del mondo del lavoro meglio di lui.

Scusa se ti interrompo, Sylvia, ma sarebbe opportuno soffermarsi un istante per chiarire meglio al lettore italiano la reale portata del Contrat de première embauche.

... Si, certo. Alcuni portavoce del governo hanno cercato di spiegare che questo contratto era in realtà destinato ai giovani non qualificati, disoccupati cronici, che dovevano essere integrati nel mondo del lavoro per sottrarli alla disperazione delle banlieue. E hanno detto inoltre che gli studenti, non direttamente toccati da questo contratto, ne hanno sfruttato il contenuto a fini politici - o da politicanti. In realtà non possiamo fare della psicologia spicciola, perché i giovani universitari francesi devono comunque lavorare per mantenersi agli studi e quindi conoscono già bene la pressione delle precarie condizioni lavorative e del ricatto del licenziamento. Come potrebbero sentirsi fiduciosi? E se quelli che sono riusciti a terminare gli studi universitari sanno di aver delle opportunità migliori di essere protetti, perché non dovrebbero essere solidali con il resto della propria generazione? I fondamenti della Repubblica francese sono "Libertà, Eguaglianza e Fraternità"...Fraternità o Solidarietà?

Appurato che siamo di fronte a un provvedimento legislativo che riguarda la maggioranza dei giovani, universitari o meno, Serge, quali erano secondo te i più gravi difetti del C.P.E.?

In realtà il C.P.E. aveva due difetti e due vizi. Discriminava i giovani (sotto i 26 anni) ritardando il loro ingresso reale nella vita attiva (con il contratto definitivo, il C.D.I.) e di conseguenza il momento della maturità professionale e familiare. Metteva in discussione il diritto al lavoro col licenziamento senza giusta causa, in contrasto sia con le leggi francesi che con le normative europee, ritornando a codici del XIX secolo. Per quanto concerne i vizi, il C.P.E. è stato imposto senza una concertazione con le parti sociali, senza dibattiti parlamentari strutturati (col 49,3% dei voti si fa approvare una legge senza dibattito in aula), senza tenere conto delle imponenti manifestazioni degli studenti e della gente comune (si passa nell'arco di un mese da 100.000 a 2 milioni di manifestanti). E ha evidenziato le debolezze istituzionali e la crisi che il paese attraversa (assenza di attività parlamentare e un'eccessiva personalizzazione del potere).

Sylvia, vuoi aggiungere qualcosa a questo riguardo?

Per comprendere meglio la situazione bisogna anche tenere presente il modo disastroso con cui il governo si è adoperato per varare il C.P.E. Una specie di braccio di ferro voluto da de Villepin che per aggirare "opposizioni stupide e obsolete" si è sentito autorizzato a non tenere conto delle più elementari regole di diritto. Ma queste regole esistono. La prima è stata votata da un precedente governo di destra e si impegna a cambiare le pratiche sociali vigenti solo dopo un ampia consultazione con i sindacati. La seconda regola è stata stabilita dall'Assemblea del Parlamento europeo e recita che ogni licenziamento deve essere sempre motivato dal datore di lavoro. L'identità francese va oltre gli ottimi vini e i formaggi ed è saldamente ancorata al concetto di uguaglianza di fronte alla legge e di tutela dei diritti acquisiti, anche se questo non è sempre così evidente. I "diritti acquisiti" sono quei diritti sociali ottenuti attraverso le lotte del passato per la classe operaia e per tutti. E tutti i governi che nel XX secolo hanno cercato di intaccare questi diritti hanno suscitato reazioni di massa, come è accaduto con i grandi scioperi del 1938, provocati da un tentativo del governo di abolire le leggi sociali del 1936. La Francia ha penato troppo sotto "padroni assoluti" nel XIX secolo per essere disposta a tornare indietro.

Si è parlato molto della presenza di bande di casseurs durante le manifestazioni di marzo. A tuo parere, Serge, che rapporto esiste tra l'esplosione di violenza nelle banlieue dello scorso inverno e la mobilitazione dei liceali e degli universitari?

Il governo ha voluto tenere separata la rivolta delle banlieue dal movimento del marzo-aprile 2006, sostenendo che il C.P.E. fosse destinato soprattutto ai giovani non qualificati delle periferie e non riguardasse affatto gli studenti. Il collegamento è nato dal rifiuto dell'apprendistato a 14 anni e da una specie di solidarietà sommersa contro ogni forma di precarietà. Ma dei casseurs provenienti dalle banlieue si sono distaccati dai cortei, snaturandone spesso il carattere pacifico e non violento. Anche se c'è stata in ogni caso una componente di provocazione (anche da parte del potere) e di ideologia comunitaristica.

Sylvia, se si escludono le azioni di disturbo dei casseurs, come descriveresti le manifestazioni?

Durante le manifestazioni tutti gli striscioni riportavano slogan che riprendevano in vari modi la sigla C.P.E. Tutti denunciavano il nuovo contratto come una manovra per imbrogliare i giovani e per ridurli ad una nuova forma di schiavitù. A quelli che dicevano ai giovani "Il C.P.E. è meglio di niente", questi rispondevano "E' il peggio che si possa immaginare". Dicevano anche ironicamente "Villepin sei licenziato, il tuo contratto è terminato". E quando di comune accordo non si sono previsti per un po' altri grandi cortei, gli studenti hanno moltiplicato le loro azioni a sorpresa come sit-in, blocco dei treni e altre iniziative capaci di dare fastidio senza ricorrere alla violenza.
Qualcuno sostiene che la gioventù francese non sa "adattarsi al mondo moderno", oppure che a ogni cambio generazionale sembra esserci bisogno di un rito di iniziazione, ma questa è una falsa riflessione socio-psicologica. Tre milioni di persone non scendono in piazza per futili motivi.

Serge, alla luce della tua esperienza di sessantottino e di professore che ha appoggiato la mobilitazione in questi ultimi mesi, riesci a trovare delle somiglianze tra le due "generazioni ribelli", quella del maggio 1968 e quella del marzo-aprile 2006? E in particolare come è cambiato il rapporto tra la Parigi e le città di provincia?

Tutti hanno sottolineato la differenza tra i contesti e gli eventi del maggio 1968 e del marzo-aprile 2006. In effetti i 38 anni intercorsi non permettono di parlare di un'eredità generazionale e gli attuali ribelli non sono "automaticamente" i figli dei sessantottini. Bisogna anche sottolineare il ruolo molto importante delle ragazze in questo 2006.
Dal punto di vista sociale la popolazione studentesca si è più che raddoppiata, passando da 500 mila nel 1968 a 1,3 milioni oggi e probabilmente vive in condizioni più precarie (l'esosità degli affitti, il problema dell'alloggio, le borse) pur essendo di origine borghese o piccolo borghese. Si è sottolineato che il rifiuto della "precarietà attraverso la flessibilità" ha mobilitato degli studenti a cui la questione del primo impiego interessa poco: in realtà gli studenti si sono battuti per un principio, il diritto al lavoro, e per opporsi a una precarizzazione generale che li riguarderà da vicino in futuro.
Il maggio 1968 è stato un movimento di contestazione globale (delle istituzioni universitarie, politiche, culturali e familiari), mentre il 2006 è un movimento di "resistenza" con un'unica parola d'ordine ben precisa che forse nasconde altri motivi di protesta. Questo spiega una così grande mobilitazione anche del resto della popolazione (accanto agli studenti, c'erano i genitori e i nonni), benché i salariati si siano mobilitati meno dei sindacati. Bisogna ricordare anche che gli studenti si sono divisi tra bloqueurs e antibloqueurs, e che in ogni università vi sono state grandi e sofferte discussioni, spesso confuse, quando ci si spingeva oltre la parola d'ordine del rifiuto del C.P.E. Quanto a Parigi e alla provincia, va sottolineato che il movimento è nato nelle università di provincia, prima a Rennes, il 7 e 8 febbraio, poi a Tolosa e Poitiers, prima che nelle università parigine, che erano in vacanza. Già esistevano inoltre tradizioni universitarie di lotta, una specie di cultura della lotta per mezzo dell'occupazione. I coordinamenti di Lille, Lione, Rennes, Strasburgo, rivelano un movimento decentrato e meno parigino.

Se per lo più i giovani delle università e dei licei francesi che hanno animato la lotta contro il C.P.E provengono da un milieu sociale che possiamo ancora definire come "borghese", probabilmente non lo sono già più nelle intenzioni e nelle aspettative, costretti come sono a lottare per un ritorno alla condizione antecedente l'adozione del provvedimento, nella speranza di calmare le proprie ansie per un futuro incerto. L'aggregazione intorno alla parola d'ordine del diritto al lavoro e la giovane età dei manifestanti, per lo più al di sotto dei 24 anni o addirittura liceali, impediscono probabilmente che essi abbiano una precisa idea della propria collocazione sociale – la flessibilità ha d'altronde lavorato negli ultimi anni in Francia e nel resto dell'Europa in questo senso – e allontanano gli aderenti al movimento STOP C.P.E. dalle sicurezze e dalla speculare capacità di contestare globalmente istituzioni e convenzioni borghesi. E proprio nelle università e nei licei così come nella società e nel mondo del lavoro la borghesia ha dovuto confrontarsi con nuovi attori sociali che, grazie al più ampio accesso all'istruzione superiore rispetto al passato, non necessariamente agiscono secondo criteri strettamente borghesi.
L'esperienza vissuta da chi scrive il 10, l'11 e il 13 marzo scorsi a fianco degli studenti parigini non può che confermare le osservazioni raccolte sopra: proprio in quei primi giorni di mobilitazione sono stati i liceali, più che i loro colleghi degli atenei, a condurre, nei momenti di maggiore tensione, le trattative con la Polizia e la Gendarmerie per la liberazione dei compagni rimasti prigionieri all'interno della Sorbona e del Collège de France. Giovani, magari di origine non europea, pronti a perdere posti di lavoro part-time serali e a subire le cariche delle forze dell'ordine in nome di una battaglia che ha anche i risvolti ideali e storici indicati da Sylvia Ullmo.
Nel marzo-aprile francese la borghesia si è trasformata in qualcosa di nuovo, come ci hanno insegnato i giovani e sconosciuti leader dei sindacati e delle associazioni dei liceali. Del passato ha mantenuto quella visione progressista e interclassista, magari a tratti naïve e anche un po' utopista, capace di infiammare ancora gli animi e di mettere d'accordo una ragguardevole maggioranza di francesi – secondo i sondaggi degli autorevoli esperti di "Le Monde" – intorno a un'unica problematica sociale.
Karl, Philippe e i loro compagni potrebbero avere aperto una nuova via, ad altri forse toccherà di portare avanti le loro idee.

Nota della redazione

A margine dell'articolo, segnaliamo generation-precaire.org, il sito dove coloro che entrano nel mondo del lavoro solo con contratti di stage denunciano la propria condizione e si attivano per modificarla. Dopo il ritiro del CPE, infatti, in Francia continuano ad organizzarsi. Gli indici di disoccupazione sono elevatissmi, non solo nelle famiglie che vivono in condizioni disagiate nelle banlieue, ma anche fra la borghesia cittadina. Dal computo sfuggono gli stagisti, formalmente "collocati", in realtà eterni precari, spesso con una buona esperienza di lavoro pluriennale ma senza un contratto.

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(n° 3 - aprile 2006)

Gli schiavi moderni/4

La legge Biagi, o meglio la sua applicazione, ha avuto come conseguenza la precarietà e l’abbassamento degli stipendi insieme all’utilizzo di professionalità elevate: ingegneri, tecnici, informatici, per lavori di bassa o infima qualità.
Questo me lo avete detto voi, con le vostre testimonianze che riporterò nel libro: “Gli Schiavi Moderni” che sarà pubblicato entro l’estate su questo blog. Il libro sarà scaricabile gratuitamente o acquistabile nella sua versione cartacea.
Due, comunque, mi sembrano le modifiche da operare subito alla legge Biagi:
- aumentare la remunerazione per i precari rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato con una politica fiscale che sostenga il lavoro precario
- porre un tetto massimo alle imprese per l’utilizzo di precari, ad esempio il 10%.

Il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz mi ha inviato questa analisi sul mercato del lavoro in Italia .
Belin, un premio Nobel che scrive a un comico!

“Caro Beppe,
dall'Italia mi giungono notizie allarmanti: la legge sul primo impiego viene ritirata in Francia dopo poche settimane di mobilitazione studentesca e da voi la legge 30 resiste senza opponenti dopo anni. Permettimi allora una breve riflessione Nessuna opportunità è più importante dell'opportunità di avere un lavoro. Politiche volte all'aumento della flessibilità del lavoro, un tema che ha dominato il dibattito economico negli ultimi anni, hanno spesso portato a livelli salariali più bassi e ad una minore sicurezza dell'impiego. Tuttavia, esse non hanno mantenuto la promessa di garantire una crescita più alta e più bassi tassi di disoccupazione. Infatti, tali politiche hanno spesso conseguenze perverse sulla performance dell'economia, ad esempio una minor domanda di beni, sia a causa di più bassi livelli di reddito e maggiore incertezza, sia a causa di un aumento dell'indebitamento delle famiglie.

Una più bassa domanda aggregata a sua volta si tramuta in più bassi livelli occupazionali. Qualsiasi programma mirante alla crescita con giustizia sociale deve iniziare con un impegno mirante al pieno impiego delle risorse esistenti, e in particolare della risorsa più importante dell'Italia: la sua gente.
Sebbene negli ultimi 75 anni, la scienza economica ci ha detto come gestire meglio l'economia, in modo che le risorse fossero utilizzate appieno, e che le recessioni fossero meno frequenti e profonde, molte delle politiche realizzate non sono state all'altezza di tali aspirazioni. L'Italia necessita di migliori politiche volte a sostenere la domanda aggregata; ma ha anche bisogno di politiche strutturali che vadano oltre - e non facciano esclusivo affidamento sulla flessibilità del lavoro. Queste ultime includono interventi sui programmi di sviluppo dell'istruzione e della conoscenza, ed azioni dirette a facilitare la mobilità dei lavoratori.
Condividiamo l'idea per cui le rigidità che ostacolano la crescita di un'economia debbano essere ridotte. Tuttavia riteniamo anche che ogni riforma che comporti un aumento dell'insicurezza dei lavoratori debba essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale.

Senza queste la flessibilità si traduce in precarietà.

Tali misure sono ovviamente costose. La legislazione non può prevede che la flessibilità del lavoro si accompagni a salari più bassi; paradossalmente, maggiore la probabilità di essere licenziati, minori i salari, quando dovrebbe essere l'opposto. Perfino l'economia liberista insegna che se proprio volete comprare un bond ad alto rischio (tipo quelli argentini o Parmalat, ad alto rischio di trasformazione in carta straccia), vi devono pagare interessi molto alti.

I salari pagati ai lavoratori flessibili devono esser più alti e non più bassi, proprio perché più alta è la loro probabilità di licenziamento. In Italia un precario ha una probabilità di esser licenziato 9 volte maggiore di un lavoratore regolare, una probabilità di trovare un nuovo impiego, dopo la fine del contratto, 5 volte minore e che fino al 40% dei lavoratori precari è laureato.
Ma se li mettete a servire patatine fritte o nei call center, perché spendere tanto per istruirli?
Grazie per l'ospitalità.”
Joseph E. Stiglitz

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Giornalisti in piazza col lutto

venerdì 28 aprile 2006
Protesta per il contratto in piazza Montecitorio e presidio al Senato nel giorno dell'insediamento del nuovo Parlamento

Giornalisti in Piazza Montecitorio, nel giorno dell'insediamento del nuovo Parlamento, tra striscioni, volantini e bandiere listate a lutto per la strage di Nassiriya, per chiedere un nuovo contratto nazionale.

Forse 300 i giornalisti, ma anche molti parlamentari dell'Unione, che hanno assicurato il loro impegno. Una delegazione della Fnsi, che ha organizzato la protesta, si e' poi trasferita davanti al Senato.

Il segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi ha messo subito in chiaro che "serve che il nuovo governo, che ci auguriamo arrivi presto, metta insieme le parti per arrivare ad una soluzione".

"I precari vivono in una situazione devastante - ha proseguito Serventi Longhi - cosa che lede l'autonomia della categoria. Spero che la questione sia affrontata con decisione sia in Italia che in Europa, bisogna che le leggi sul lavoro cambino".

E sulla comunicazione ha detto che serve anche che "siano riformate le leggi sulla comunicazione: la Gasparri crea devastazioni e bisogna fermarla".

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Euromayday: giornata di festa e di lotta contro la precarietà

Euromayday: giornata di festa e di lotta contro la precarietà

Anche quest'anno il primo maggio è la giornata contro la precarietà, un condizione di lavoro e di vita che è diffusa tra milioni e milioni di europei e che riguarda soprattutto i giovani. Da qualche hanno il network Euromayday, organizza la MayDay Parade dei precari. Quest'anno la manifestazione centrale sarà a Parigi ma vede coinvolte anche 20 metropoli europee.

La MayDay Parade intende manifestare, agire, protestare contro la precarietà, la questione sociale più bruciante in Europa oggi, come dimostrano le gigantesche agitazioni contro la precarietà e il CPE a Parigi e in tutte le città della Francia. La precarietà è la condizione di lavoro e di vita che più si è diffusa tra milioni e milioni di europei.

Chiediamo equità sociale per tutte/i, la fine della precarizzazione del lavoro e di tutte le forme di sfruttamento della precarietà.
Esigiamo libertà di movimento per i migranti e sicurezza e garanzia di reddito come risposte possibili e concrete dopo due decenni di netto peggioramento del mercato del lavoro e dei profili professionali.

Lottiamo per il diritto generalizzato alla casa, alla mobilità, alla formazione, al libero scambio e compartecipazione della cultura e dei saperi. Pratichiamo quotidianamente la libertà di espressione e di dissenso, siamo coinvolti negli attuali conflitti sociali e del lavoro, costruiamo nuovi media per smascherare e disacrare le veline di stato e/o delle grandi corporations.

[audio] Francesco, del movimento euromayday, sulla giornata del primo maggio a Parigi e la lotta contro la precarietà (03'10'') [link] Visita il sito dell'euromayday

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Piacenza: l'esercito dei precari aumenta anche in Comune

Domani al Farnese la presentazione di una ricerca. Sempre più servizi dati in esterno

Chi sono i lavoratori impiegati nei settori esternalizzati dell'amministrazione comunale, come i servizi sociali, le mense e le opere pubbliche? Qual è il loro livello di precarietà? E cosa può fare l'ente pubblico, nell'incerta situazione finanziaria in cui si trova, per migliorare le loro condizioni? A tutte queste domande ha cercato di rispondere l'indagine commissionata da palazzo Mercanti al dipartimento di sociologia dell'università di Padova, intitolata "Terziarizzazione delle attività pubbliche e nuovi profili sociali a Piacenza", che verrà presentata domani mattina alla cappella Ducale di palazzo Farnese nel corso di un convegno (dalle 9 e 30). Ieri mattina l'assessore con delega al Lavoro Ignazio Brambati ha ricordato lo spirito che ha guidato la ricerca, svolta attraverso le interviste di 60 persone, e anticipato alcuni risultati: il quadro che emerge è quello di un ricorso crescente dell'affidamento di opere e servizi di competenza pubblica a ditte esterne, e un contestuale aumento della precarietà delle persone impiegate.
«Il lavoro di studio condotto per circa un anno dai ricercatori dell'Università di Padova - ha spiegato - ha messo in evidenza come la costante diminuzione delle risorse economiche a disposizione degli enti locali abbia creato una situazione di grande difficoltà, e indotto a una sempre maggiore esternalizzazione nel campo dei servizi alla persona e della manutenzione ed esecuzione delle opere pubbliche.
E' stata effettuata un'analisi approfondita della struttura occupazionale nell'ambito degli appalti concessi dal Comune, con l'obiettivo di tracciare il profilo sociale degli addetti. Non è possibile quantificare con certezza il numero di questa tipologia di lavoratori, dato che per molti l'impegno è legato alla stagionalità: si può dire che sono alcune centinaia ed operano soprattutto nel settore dell'edilizia, nel campo socio-assistenziale attraverso cooperative sociali e educative, nelle mense scolastiche e nella gestione di alcuni impianti sportivi.
L'amministrazione non ha strumenti particolari per migliorare le condizioni di queste persone che sempre più spesso, soprattutto nelle fasce d'età giovanili, sono soggette a precarizzazione del rapporto di lavoro. L'ente pubblico può perfezionare in bandi di affidamento degli appalti, cercando di introdurre nei capitolati il massimo della tutela per gli addetti: in modo che le assegnazioni non vengano eseguite soltanto al ribasso finanziario. Un altro dato che emerge dalla ricerca è che, mentre prima erano le donne a costituire la parte più consistente delle figure meno protette, ora le nuove forme di precariato investono anche i maschi, senza distinzione di sesso».
Da una prima sintesi degli esiti dell'indagine, si nota come anche a Piacenza imprese e cooperative si configurino come i soggetti principali nella gestione ed esecuzione di progetti relativi ai settori anziani, immigrazione, handicap, ambiente; un modello nel quale le amministrazioni pubbliche fungono sempre più da coordinatore centrale, mentre l'esecuzione del lavoro è affidato a soggetti privati: uno dei sistemi, per l'appunto, con il quale i comuni riescono a contenere la spesa pubblica.
Ma. Fe.

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Firenze: I precari contro le incertezze del futuro

28/04/2006 - I precari del comune di Firenze scenderanno in piazza in una giornata altamente simbolica come il primo maggio, festa dei lavoratori, per denunciare la grave situazione in cui versa la categoria.

I precari denunciano l'utilizzo indiscriminato dei contratti a progetto e con la protesta di lunedi' (con ritrovo in piazza San Marco alle ore 10,30) tentano di sensibilizzare l'opinione pubblica e di far arrivare la propria voce fino alle istituzioni per una richiesta collettiva di stabilizzazione. I lavoratori che alimentano il precariato, e che anche in Toscana sono molti, chiedono innanzitutto l'eliminazione dei contratti precari e l'introduzione del reddito sociale come assicurazione pubblica contro la disoccupazione, oltre che il sostegno in forma indiretta.

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Torino 1° maggio spezzone sociale

dalle Valli alle Banlieues
in lotta contro precariato e guerre
a fianco della resistenza irakena
FUORI LE TRUPPE DALL'IRAQ



il programma dell'opposizione sociale:
LOTTE CONFLITTI MOVIMENTI

SPEZZONE SOCIALE
ore 9 piazza Vittorio

network antagonista torinese

www.csoaskatasuna.org


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Bologna. Mensa troppo cara, universitari in piazza

LA PROTESTA

Mensa troppo cara, universitari in piazza
Un raid a 'Lettere'

La Rete Universitaria ha manifestato disappunto per l'accusa di eversione a carico di alcuni 'compagni' che si erano scagliati contro le mense troppo care. Bloccato il lettore di badge della Facoltà di Lettere

Bologna, 27 aprile 2006 - Hanno mandato Mario Precario vestito da Pm in mensa a consegnare "l'avviso della conclusione delle indagini preliminari", mangiato un piatto di pasta, bevuto un bicchiere di vino in piazza Puntoni e poi sono rimasti li' ad ascoltare la musica diffusa da un grande amplificatore. Gli studenti della Rete universitaria dell'Ateneo di Bologna hanno manifestato cosi' oggi verso le 14 in via Zamboni il loro disappunto per l'accusa di eversione a carico di alcuni dei "compagni".

Il documento, passato dalle mani di Mario Precario a quelle del responsabile della mensa dell'Arstud (Azienda regionale per il diritto allo studio) se la prende con l'azienda che gestisce la mensa "piu' cara d'Italia", che "sfrutta i dipendenti e li maltratta", che "gestisce altri servizi compromettenti, come il Cpt (Centro di permanenza temporanea).

All'Arstud manda a dire che "lo studio non lo garantisce" che "esternalizza servizi ai privati" che "permette agli studenti di ospitare qualcuno negli studentati solo se si pagano 30 euro a notte". Ma ce n'e' pure per l'Universita' che "fa repressione contro le lotte studentesche" e ovviamente per la Procura di Bologna "che ha criminalizzato cinque azioni di riappropriazione diretta di precari e studenti con l'aggravante dell'eversione".

Gli studenti della Rete universitaria bloccano il lettore dei badge attivo alla Facolta' di Lettere, il cosiddetto "36" di via Zamboni. Finito il pranzo in piazza Puntoni e i balli a suon di musica, gli studenti della Rete universitaria e alcuni simpatizzanti, con un piccolo raid, hanno bloccato il nuovo lettore badge della storica biblioteca di Lettere. Il "36" che e' anche sala studio, da qualche tempo non e' piu' accessibile a tutti gli studenti dell'Universita', ma solo a quelli iscritti a Lettere, Scienze della Formazione, Lingue e Beni Culturali. In piu' ci possono entrare altri 40 studenti al giorno che pero' ricevono un badge temporaneo in cambio del documento d'identita'.

Niente accesso, invece, per gli iscritti alle lauree specialistiche e alle Ssis, pure se, per quelli della Rete "i testi di quella biblioteca sono interdisciplinari e utili a tanti". Il blocco, dunque, non va giu' alla Rete anche perche' il 36, occupato una miriade di volte, autogestito negli anni '90, non e' solo una sala studio ma "un luogo di aggregazione".

Senza contare che l'introduzione del lettore badge viene interpretato come un "meccanismo di controllo di chi entra e chi esce" che la Rete non puo' approvare.

La protesta in Piazza Puntoni contro il caro-mensa

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Scricchiola il modello Mc Donald...

http://www.greenplanet.net/Articolo15042.html

CADE IL MODELLO McDONALD'S

Non sarebbe in regola con le norme sulla sicurezza del lavoro. L'eccessiva confusione di competenze tra i dipendenti non ha convinto i giudici

ROMA - Sicurezza a rischio per chi lavora in un McDonald's. Lo ha stabilito di recente la Corte d'Appello di Catanzaro, II sezione penale (n.169/2006, presidente Baudi) confermando la pronuncia di primo grado del tribunale di Cosenza. È una sentenza che fa scalpore: mette in discussione un sistema che oggi in Italia vanta 340 ristoranti, 12mila dipendenti e un fatturato 2005 pari a 561 milioni di euro. Nei 30mila MsDonald's sparsi nel mondo l'articolazione dei dipendenti è analoga: al vertice un manager, capo e responsabile; al di sotto i crew, ragazzi che fanno tutti tutto, dagli scontrini alla cassa alla preparazione dei cibi, al filtraggio dell'olio, alle pulizie. Non c'è specializzazione nè differenziazione.
Un modello che ai giudici non è piaciuto, tanto da ravvisare motivi per riconoscere la responsabilità penale del gestore del McDonald's di Rende (Cs), per violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La vicenda giudiziaria nasce da un incidente: una giovane impiegata sta trasportando un blocco metallico che contiene olio dove sono state fritte le patatine, che va filtrato. Peso del blocco, circa 25 chili; temperatura dell'olio, 160 gradi. A un certo punto il contenitore sta per scivolare dalle mani dell'impiegata che, per evitare il disastro, stringe a sè il blocco metallico. Risultato: trauma al seno con rischio di danni permanenti per la capacità di allattamento.

È stata maldestra la dipendente o c'è qualcosa che non ha funzionato tra le procedure e i mezzi previsti nel lavoro dalla multinazionale degli hamburgher?

Le argomentazioni della difesa si reggono su argomenti solidi e convincenti: l'organizzazione McDonald's è da sempre così e in Italia ha una tradizione ventennale.

Ma per i magistrati il successo commerciale di un modello apparentemente immutabile non costituisce di per sè la garanzia assoluta del rispetto di ogni norma di legge. Il legale della parte lesa, Maurizio Nucci, fa notare che le alette dei contenitori dell'olio da filtrare sono troppo piccole. Di misura unica, poi, i guanti termici: nel caso dell'incidente erano troppo grandi - oltre che oleosi e scivolosi - per le mani della lavoratrice. Inoltre non è proprio agevole, per una ragazza, trasportare 25 chili di olio a 160 gradi.

Così il giudice d'appello ha ribadito la condanna inflitta in primo grado sottolineando la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n.626/1994, in particolare articoli 3, 37, 68 e 89) e osservando che «la ordinaria diligenza avrebbe permesso di evitare l'incidente».

Sarebbe bastato, dice la sentenza, che il manager del McDonald's avesse previsto «il divieto di effettuare le operazioni a macchina calda, o l'imposizione dell'uso di guanti personalizzati, o la predisposizione di filtri muniti di manici più facilmente apprensibili».
Il magistrato sottolinea anche che la dipendente era formalmente addetta alla cassa ma è «prassi più che consolidata» che operazioni come quella del filtraggio dell'olio «fossero, di fatto, compiute da tutti i dipendenti, sulla base della regola non scritta della intercambiabilità».

Il responsabile del MsDonald's di Rende dovrà pagare 2.400 euro, tra multe e ammende, 5mila euro di provvisionale all'impiegata, oltre a un risarcimento che dovrà essere stabilito separatamente in sede civile.

Ma il puno decisivo èun altro. La pronuncia di Cosenza probabilmente non rivoluzionerà le procedure nei McDonald's. Ma dalla lettura della sentenza sembra di capire che non basta solo una maggiore diligenza dei managers.

Per scongiurare altri incidenti sul lavoro, insomma, è molto probabile che sia necessario rivedere uno schema - «tutti fanno tutto» - evidentemente rischioso.


LA SENTENZA

"In sintesi, la ricostruzione della vicenda può essere articolata secondo la seguente cadenza: la concretizzazione finale di un fatto offensivo che si aveva l'obbligo di impedire; la materializzazione, all'origine, di una corrispondente situazione di pericolo; la identificazione di un soggetto garante, destinatario di obblighi di protezione e di controllo; il riconoscimento del pericolo a opera del medestimo soggetto; l'insorgenza del dovere di attivazione cautelatrice; l'omissione come mancata realizzazione della condotta necessaria per eliminare o comunque ridurre il pericolo; la rilevazione della colpa, consistente nel non avere individuato il pericolo o nel non aver adottato il comportamento più congruo a evitarlo o prevenirlo; la relazione causale dell'evento offensivo con la condotta colposa così delineata. Risulta pertanto ampiamente supportato l'originario giudizio di responsabilità".

Corte d'appello di Catanzaro
sentenza n.196/2006

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Precari degli asili nido a Roma: RdB scrive a Ciampi

20 aprile 2006 - Comunicato RdB CUB P.I. - Comune di Roma

RDB SCRIVE A CIAMPI PER IL PROBLEMA DEL PRECARIATO NELLE SCUOLE D’INFANZIA E NEI NIDI DEL COMUNE DI ROMA

Con una nota consegnata ieri (riportata di seguito) RdB, attraverso i propri rappresentanti, ha sollecitato l’intervento del Capo dello Stato per tutelare i diritti previsti da norme di rango costituzionale che, per il personale precario dei servizi scolastico-educativi del Comune di Roma, vengono completamente disattesi.
Nella nota vengono richiamati il diritto alla salute, quello della tutela della maternità e dell’infanzia, il diritto allo studio.
Diritti cui il personale precario è spinto a rinunciare con il miraggio della stabilizzazione che – complici le norme delle varie finanziarie – appare sempre più improbabile.
Si inducono in sostanza queste lavoratrici (in molti casi precarie da oltre vent’anni) a cedere diritti per vedere tutelati altri diritti.
Al Presidente della Repubblica - nel duplice ruolo di custode dei valori costituzionali e di cittadino onorario di Roma - i rappresentanti sindacali si sono rivolti sia per perorare la causa del personale precario, sia per rompere il muro di silenzio eretto da una Giunta che vanta una grande attenzione al dialogo e alla partecipazione solo a parole, ma non nei fatti.

Al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Onorevole Presidente,
Le scriviamo questa lettera in qualità di rappresentanti sindacali della RdB-CUB al Comune di Roma ritenendo di farci interpreti del sentimento di frustrazione provato dalle centinaia di precarie, che lavorano presso il nostro Ente, nel settore scolastico-educativo.
Ci rivolgiamo a Lei nel duplice ruolo di custode dei valori costituzionali e di cittadino onorario di Roma.
Quello che desideriamo portare alla Sua attenzione riguarda la condizione delle centinaia di precarie del settore scolastico-educativo aggravata ulteriormente dalle valutazioni introdotte dal nuovo Contratto Decentrato siglato l’Ottobre scorso – contro il quale ci siamo strenuamente opposti - e che sta producendo ora nefaste conseguenze.
Il nuovo contratto, oltre a non aver recepito le indicazioni provenienti da questo settore lavorativo, ha previsto l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo nella graduatoria di assunzione, per quelle lavoratrici che non effettuano alcuna assenza dal servizio nel corso dell’anno scolastico.
Siamo dell’avviso che l’attribuzione di tale punteggio aggiuntivo confligga con valori di rango costituzionale quali:
- il diritto alla salute (le lavoratrici sono incoraggiate a non assentarsi per attendere alle proprie cure sanitarie, ivi comprese coloro che – trovandosi in condizioni di disabilità - fruiscono dei permessi previsti dalla legge 104/92);
- il diritto alla tutela della maternità e dell’infanzia (abbiamo cognizione di lavoratrici che hanno evitato di utilizzare il periodo di congedo per maternità o le ore di allattamento per non vedersi privare del punteggio aggiuntivo);
- il diritto allo studio (le lavoratrici rinunciano ad utilizzare le 150 ore previste per acquisire titoli di studio più elevati e accrescere le possibilità di stabilizzazione).
Quanto Le esponiamo spinge le lavoratrici a rinunciare all’esercizio di questi diritti nella speranza di una stabilizzazione che - le varie finanziarie degli ultimi anni - rendono sempre più improbabile.
L’Amministrazione Comunale a questo riguardo ha ritenuto di non dover valutare alcuna delle nostre segnalazioni e anzi si è chiusa in un ostinato ed ostile silenzio.
Per questo facciamo appello alla Sua sensibilità e alla Sua autorevolezza affinché voglia perorare la nostra causa nei confronti del Sindaco.
Le chiediamo, compatibilmente con i Suoi impegni istituzionali, una audizione con una rappresentanza del personale scolastico-educativo.

RdB – Pubblico Impiego
RSU Roberto Betti – Roberto Degrassi – Gianni Troiani

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Milano verso la May Day - aspetti e immagini della precarietà

MILANO VERSO LA MAY DAY - ASPETTI E IMMAGINI DELLA PRECARIETA' - La proiezione dei film e i dibattiti si terranno presso la Sala Guicciardini di via Macedonio Melloni 3 a Milano. 18-04-2006

VERSO LA MAY DAY - ASPETTI E IMMAGINI DELLA PRECARIETA'

La Cub propone due serate per riflettere insieme sui molteplici aspetti della precarietà coniugando le immagini di un film con dei ragionamenti da fare collettivamente con studiosi e politici, per approfondire il tema ed individuare delle vie di uscita da questo dramma collettivo che esclude una generazione e la rende stabilmente precaria.

Venerdì 21 Aprile ore 20,30

Proiezione del film:
CACCIATORE DI TESTE
di Constantin Costa Gravas
una fiaba surreale sulla crisi dell’occupazione nell’Europa di oggi

prima della proiezione del film dibattito
Precarietà e modello di società

Partecipano: Andrea Fumagalli Univ. Pavia, Gabriele Ballarino Univ. Milano, Montagnoli Walter Cub, Modera: Andrea Di Stefano Direttore Valori

Giovedi 27 Aprile ore 20,30

Proiezione del film:
IL LUNEDI AL SOLE
di Fernando Leon de Aranoa
la storia di un gruppo di operai galiziani disoccupati per la chiusura del cantiere navale dove lavoravano, e dei loro drammi

prima della proiezione del film dibattito
Le proposte per uscire dalla precarietà
confronto tra la legge di iniziativa popolare di Precariare Stanca e la proposta della CUB.

Partecipano: il Prof. Stefano Rodotà promotore della proposta di legge, Piergiorgio Tiboni CUB, Bruno Casati Ass. Prov.Mi Modera: Andrea Di Stefano

La proiezione dei film e i dibattiti si terranno presso la Sala Guicciardini di via Macedonio Melloni 3 a Milano.

Milano 15 aprile 2006

(PRENDI IL MANIFESTO della MAYDAY 2006 .jpg 1218KB)

(PRENDI IL MANIFESTO della MAYDAY 2006 .pdf 609KB)



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Alexander Jakhnagiev - 20 Precari in attesa (Roma)

Dal 28 aprile all'otto maggio 2006
Alexander Jakhnagiev - 20 Precari in attesa
Roma
STAZIONE DI TRASTEVERE

un’idea dell’artista Alexander Jakhnagiev, che vuole riflettere e far riflettere in maniera innovativa e creativa sui giovani e il lavoro nel mondo contemporaneo proprio in concomitanza con il 1 maggio

biglietti: ingresso libero
vernissage: 28 aprile 2006. ore 12
autori: Alexander Jakhnagiev
patrocini: Assessorati al Lavoro e alla Cultura della Provincia di Roma
genere: arte contemporanea, personale

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27.4.06

I lavoratori di Feltrinelli contro Effelunga

Sono in mobilitazione i commessi (non sono più librai...) che lavorano nella catena Feltrinelli. Era un editore di sinistra, ora è un padrone come un altro, con lo stesso marketing, la stessa precarietà e, per fortuna, gli stessi conflitti [durata: 16.10]

http://www.ondarossa.info/audio/2006_04_27_5003.mp3

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La lezione parigina (Aprile on line)

Precariato. ''La crisi del lavoro è prima di tutto crisi delle idee''. Cronaca dell’incontro tra Victor Vidilles (Sindacato studentesco francese) e il comitato Precariare Stanca
Alessandro Genovesi

“La vera vittoria è stata quella di far uscire una generazione dal silenzio. Chiamando in causa la politica e pretendendo da essa risposte ed idee nuove”. Con queste parole si può sintetizzare il senso più profondo di quanto detto da Victor Vidilles, dell’organizzazione Unef (il Sindacato studentesco francese), che ieri si è incontrato con il comitato Precariare Stanca per una prima analisi e scambio di idee sull’imponente movimento francese contro il Cpe, il contratto di primo impiego (Cpe).

La crisi del lavoro è – questa la prima conclusione condivisa – prima di tutto “crisi delle idee”, di una politica e di una società che hanno espunto il protagonismo del lavoro e dei saperi. Con peculiarità certo nazionali (Rodotà ha parlato di una crisi profonda, di un avvelenamento che in dieci lunghi anni, ha spinto la sinistra ad occuparsi più di riforme istituzionali che dei bisogni sociali), ma che chiamano in causa l’Europa e le contraddizioni di un modello di sviluppo dove sono stati importati i “non-diritti del lavoro, mentre si assicurava la massima libertà ai capitali” (Mussi).

E allora rilanciare un’idea di coesione, cancellare la legge 30 e superare una cultura subalterna alla mercificazione del lavoro, dare battaglia contro la riforma costituzionale varata dal centrodestra sono facce di una stessa medaglia.

Un filo comune ha infatti legato gli interventi di Nerozzi, Leon, Rodotà e di Daniele Giordano (il Presidente dell’Udu, l’associazione degli universitari italiani): come ridare “sostanza sociale” alla politica e alla rappresentanza dei bisogni, disvelando le cose per quello che sono.

L’attacco alla Costituzione come riproposizione di una società chiusa, senza mobilità sociale e coorporativizzata; lo svilimento dei sindacati come conseguenza di una logica di massimizzazione a breve dei profitti e di spostamento delle ricchezza dal lavoro alle rendite; la propaganda sulla buona flessibilità (su questo sono stati espliciti i diversi lavoratori precari intervenuti) come opportunità per i giovani, per nascondere invece l’invecchiamento e la sclerotizzazione della società europea ed italiana in particolare e per non chiamare l’impresa alle proprie responsabilità sociali.

Insomma la precarietà (o meglio il lavoro) è emersa come questione che, simbolicamente e materialmente, racchiude le grandi contraddizione dell’oggi e le difficoltà della politica e della sinistra a sapersi mettere in sintonia con il mondo senza rinunciare a proprie chiavi di lettura.

Parigi insegna però – e soprattutto – che rivoltare i paradigmi dominanti e gridare che il “re è nudo” è non solo possibile, ma anche “doveroso” (così si Villides si è espresso letteralmente).
E’ necessario (e il riferimento alla crisi della politica nel nostro paese è esplicito) per dare non solo energia alla rappresentanza dei bisogni e delle paure presenti nelle giovani generazioni, ma anche linfa alle grandi organizzazioni di rappresentanza e ai partiti (per non dire ai Governi). Una volta l’avremmo chiamata “capacità” di essere egemonici. Cioè di incidere nella società anche senza avere grandi numeri in Parlamento, mettendosi in sintonia con la parte migliore del paese. Parigi ci parla più che mai dei rischi e delle opportunità che l’Unione e la sinistra italiana hanno di fronte

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Parigi chiama! asssemblea a Scienze politiche (Roma)

MAY DAY 06 Parigi
Dall’autunno italiano al marzo francese, in viaggio contro la precarietà!

Il movimento francese ha riempito questo 2006 di una musica diversa, che in tante e tanti, nel resto d’Europa, hanno subito riconosciuto. La musica del
conflitto, della differenza, della discontinuità.
Il “marzo francese” è stato caratterizzato da una potenza straordinaria, da una capacità inedita di produrre decisione comune, dai blocchi e dalle invasioni metropolitane dove si è praticata una riappropriazione senza precedenti dello spazio e del tempo: una scossa tellurica che ha fatto tremare De Villepin e Chirac. Ma questo “marzo” è stato segnato anche dall’incontro di lingue diverse, dalla partecipazione di una soggettività nomade europea in lotta, che in Francia è venuta a condividere gli
sforzi, la necessità del conflitto e l’autonomia del progetto, imparando dal desiderio e dalla rabbia, dalla passione e dall’intelligenza che si è espressa in questi mesi.

Le “facoltà ribelli” italiane hanno ingaggiato la loro battaglia durante l’autunno trascorso, in un paese dove la precarietà del lavoro e l’impoverimento dei contenuti e delle condizioni di studio dilaga da
anni, grazie a leggi e riforme trasversali ai diversi schieramenti di governo.
Contro il disastro riformistico che ha coinvolto in questi anni l’università, la scuola, la ricerca si è costituità la soggettività in lotta che ha attraversato le assemblee e i cortei francesi. Le facoltà ribelli
dell’autunno italiano hanno raggiunto Parigi, lottato al fianco del “marzo francese”, sentito la stessa speranza, praticato la stessa rottura.
La marcia indietro sul Cpe sicuramente ci consegna un dato ambiguo e parziale e nello stesso tempo un passaggio enorme è stato compiuto.
Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza la radicalità dello sciopero metropolitano, del blocco, senza la capacità degli studenti francesi di trascinare con se precari e lavoro dipendente, sindacati e società
civile.
Quanto è accaduto e sta accadendo in Francia è una novità straordinaria, una discontinuità eccellente con cui fare i conti: di qui in poi un nuovo ciclo
di lotte si è aperto!

Sappiamo di una storia sindacale coraggiosa e piena di invenzione, una storia rivoluzionaria.
IWW, il sindacato statunitense che agli inizi del ‘900 ha organizzato le lotte dei nuovi, “selvaggi”, lavoratori dequalificati: una storia nomadica
che in molti modi parla della MayDayParade.
Nella consapevolezza di essere oggi, al pari degli studenti francesi ed europei, i nuovi lavoratori selvaggi del sapere e della conoscenza, abbiamo
deciso di rimetterci in viaggio, di raggiungere di nuovo Parigi, di partecipare alla MayDayParade parigina. La sfida, infatti, al seguito delle
battaglie decisive che hanno attraversato le facoltà europee (tanto italiane, quanto francesi) è quella di immaginare nuove forme di comunicazione, di condivisione di pratiche e di contenuti, di elaborazione di campi di vertenza comuni. Va da sé, quindi, che grande importanza assume per noi, non solo la Parade che partirà da Pigalle, ma l’assemblea europea del 2 maggio. Un’occasione per declinare socialmente, a partire dalle lotte concrete sul terreno della precarietà e della formazione, un nuovo tessuto
di relazione.

Saranno tante le facoltà italiane che organizzeranno pullman: Roma, Bologna, Venezia, Padova, Torino, Trento, Trieste, Pisa, Milano, Napoli, Cosenza, Verona, Cagliari. Una lunga carovana attraverserà i confini gridando il suo no alla precarietà, qualità e carattere condiviso dei saperi. Saranno anche tanti i precari e i migranti che prenderanno parte a questa nuova sfida.

Europe, debout! Réveilles-toi!

Nella gioia, nella rabbia, fuori dal ricatto!

Studenti e precari dalle facoltà e dalle scuole ribelli

adesioni e more info all'assemblea !
Rete per l'Autoformazione

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Il 19° municipio di Roma aumenta la precarietà delle lavoratrici degli asili nido

La situazione delle lavoratrici “supplenti” negli Asili Nido del Comune di Roma è già di per sè al “top” della precarieta’.

Dover passare gran parte della mattinate accanto al telefono di casa ( gli uffici competenti non sono abilitati a chiamare i cellulari) sperando di essere chiamate per una supplenza è già di per sé cosa pesante e defaticante.

Ma quantomeno ogni tanto capita di essere chiamate a sostituire una titolate malata, potendo almeno per alcuni giorni prestare servizio allo stesso nido e poter usufruire, se nel periodo capita un sabato, anche del pagamento di quella giornata.

Ma il 19° Municipio di Roma, zona Primavalle/Monte Mario/Balduina/Ottavia, in mano al centrodestra ( Presidente Marco Visconti di A.N.) ha pensato bene di negare alle precarie degli asili nido anche questa possibilità.

Per cui, anche in sostituzione delle titolari in malattia, la chiamate delle “supplenti” si fa in modo giornaliero, magari cambiando supplente tutti i giorni e non potendo quindi usufruire di contratti piu’ lunghi e degli eventuali sabati pagati.

Alla faccia della sbandierata esigenza di “continuità educativa” dei piccoli utenti del nido e alla faccia dei minimi diritti acquisiti dalle lavoratrici precarie.

In un recente comizio fatto a Primavalle, il Sindaco Veltroni aveva indicato chiaramente il 19° Municipio come l’unico – anche rispetto agli altri gestiti dal centrodestra - che rifiuta qualunque tipo di rapporto col Comune stesso e che interpreta leggi, ordinamenti, contratti e accordi di lavoro per i fatti suoi.

Evidentemente questo è il caso anche nella gestione degli asili nido, anche se Visconti sembra paradossalmente godere, in questa sua originale gestione, anche della complicita’ dei sindacati confederali, che in qualche modo difendono pure loro le scelte del 19° Municipio, giustificandole con l’eccessivo “assenteismo” delle lavoratrici ( peraltro casomai delle titolari e non delle “supplenti” ).

Col risultato che comunque a pagare i prezzi di qualunque problema finiscono per essere sempre gli anelli più deboli della catena, le lavoratrici precarie senza contratto e i bambini/utenti con le loro famiglie.

Auspichiamo che quantomeno il Comune di Roma, non fosse altro per motivazioni elettorali, intervenga sulla questione per ripristinare un minimo di legalità e di omogeneità di trattamento delle lavoratrici.

Roma 26/4/06

Centro Documentazione e Lotta / Asili Nido Roma Nord

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Studenti e precari, verso le MayDay

Parliamo di precarietà e di come la si combatte con Francesco, studente all'università "La Sapienza". Gli studenti festeggeranno il primo maggio a Parigi, laddove si svolgerà uno dei tanti appuntamenti dell'EuroMayDay 2006. Perché Parigi val bene una messa? [durata: 15.10]

http://www.ondarossa.info/audio/2006_04_27_0109.mp3

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Da roma ...verso la mayday

Dopo l'assemblea della settimana scorsa che si è tenuta ad Acrobax...verso la mayday

Verso l’Euromayday ‘06

Dopo aver assistito alla boutade elettorale delle elezioni politiche di questo Aprile, dove l’agenda politica è stata contrassegnata prevalentemente dal dibattito sulla condizione di precarieta’ generalizzata e sulle possibili forme welfaristiche d’intervento.
Dopo aver ascoltato durante la campagna elettorale fiumi di parole e di menzogne sulle nostre vite e sui nostri diritti, adesso i precari, attraverso la Mayday, riprendono parola e protagonismo sociale per mettere in rete i conflitti e tentando di creare nuove relazioni politiche e sociali, riannodare le fila di un ragionamento di relazione e di conflitto aperto già da qualche anno.
Anche questo primo maggio infatti sarà animato da migliaia di precari e attivisti di molte città europee e non solo.
Come già avvenuto l’anno scorso, quella di Milano, pur rimanendo l’epicentro di una dinamica di proliferazione e propagazione sociale enorme, non sarà infatti l’unica mayday prevista. Il tentativo di innovare - nel senso di risignificare - la data del primo maggio, dandogli un respiro diffuso contro la precarietà, è andato progressivamente ampliando il suo consenso.

Sarà un evento denso di relazioni che cercherà di rendere evidenti quei legami reticolari tra tutte le città coinvolte dove parlano i precari e le precarie della propria condizione di vita insopportabile e delle rivendicazioni per nuovi diritti sociali e di cittadinanza.
In quest’anno intercorso tra lo scorso maggio e oggi, numerose lotte sono esplose e hanno posto prepotentemente la questione della precarietà delle nostre vite come elemento comune a tutti.

Per questo grande attenzione andrà a Parigi. In primo luogo perchè, al di là della parzialità e dell’ambiguità del ritiro del Cpe, una battaglia straordinaria è stata vinta! In secondo luogo perchè la francia del “marzo” è stata teatro di nuove ed efficacissime pratiche di sciopero metropolitano della forza lavoro precaria. Infine per l’incontro e la relazione che si è determinata tra le lotte degli studenti francesi e gli studenti che avevano animato le occupazioni delle università italiane nello scorso autunno, contro il Ddl Moratti, in generale contro i processi di desertificazione del sapere attuati dalle riforme degli ultimi anni.

Proprio per questo immaginiamo che sia importante capire come si possono innescare terreni di conflitto qui, in Italia, a Roma, continuando percorsi metropolitani di aggregazione e di lotta che già si sono avviati negli ultimi anni e riuscire a fare un passaggio in avanti per la comunicazione delle lotte già esistenti. Riteniamo che centralità assuma la rivendicazione di un reddito garantito e incondizionato come terreno di riconoscimento e avanzamento contro la precarietà.
In conclusione daremo centralità al ponte comunicativo che si creerà tra tutta Italia e l’Europa cercando di rendere il 1° Maggio una giornata di protagonismo sociale ma ancora di più cercheremo di sfruttare questa data come trampolino propulsivo nei percorsi postmayday.

Ci rivedremo il 27 aprile alla Sapienza per un’ultimo incontro sulle partenze e ci rivedremo il 4 Maggio ad Acrobax per i racconti dalle mayday ed iniziare a ragionare di una Street parade “contro la precarietà e per un reddito garantito” da fare a Giugno.
Sicuramente ci riaggiorneremo aspettando il ritorno di quanti/e andranno ad Atene per il social forum europeo.

P per precarietà _ V per vendetta _ Reddito per tutti

Assemblea romana verso la Mayday

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Euro mayday 06. A Milano il primo maggio dei precari d'Europa in rivolta

EURO MAYDAY 006
Milano MayDay Parade
Porta Ticinese (pzza XXIV maggio) ore 15

LA MAYDAY: IL PRIMO MAGGIO DEI PRECARI D'EUROPA IN RIVOLTA

Per il sesto anno consecutivo, il primo maggio chiamiamo a raccolta la città precaria che lavora a tempo parziale o determinato, la metropoli terziarizzata del lavoro flessibile, dei call center e dei megastore, dei lavoratori della Scala e dello spettacolo, dei precari del settore pubblico in agitazione, dei ricercatori precari per istituti e università, degli studenti in stage gratuito e dei contratti a progetto senza rete, dei montatori di fiere e sfilate senza indennità, dei centri sociali e dei mediattivisti red, black, pink o green, dei ciclisti critici e dei queer ribelli, dei sindacati di base e di tutta la sinistra radicale, eretica, libertaria.

La ribellione di studenti e precari francesi contro il CPE è il fatto nuovo della politica europea.
Il movimento francese ci mostra che è possibile una vasta mobilitazione contro la precarietà. Con milioni di persone in piazza, la protesta sociale ha scosso le fondamenta stesse del potere dello stato francese.
Se l'incendio delle banlieues aveva messo sotto accusa Sarkozy, la rivolta di licei e università contro la precarietà ha fatto arrivare al capolinea Villepin. Un'intera generazione si sta ribellando alla precarietà, perché è la questione sociale decisiva nell'Europa di oggi.
La questione precaria è il vero discrimine fra una politica di destra e una politica di sinistra.

Il 14 aprile, una conferenza stampa congiunta seguita da una serie di azioni nel centro nevralgico dell'eurocrazia a Bruxelles ha lanciato l'EURO MAYDAY 006 in venti città europee.
La rete mayday transeuropea si propone di estendere a livello continentale i conflitti contro la precarietà esplosi in Francia.
Esige la fine della persecuzione degli immigrati in Europa e alle sue porte e la chiusura immediata dei disumani centri di detenzione per sans papiers. Chiede l'immediata adozione della direttiva europea sul lavoro a tempo determinato che giace bloccata da tre anni e che Blair e Barroso vorrebbero gettare nel dimenticatoio per sempre.
La direttiva garantisce diritti sociali essenziali ai lavoratori a tempo determinato, assicurando le stesse protezioni finora accordate solo al lavoro a tempo indeterminato.

La rete mayday rivendica nuovi diritti sociali per tutti i precari, nativi o migranti, d'Europa. La rete mayday lotta contro il workfare e ogni soluzione inegualitaria e coercitiva alla crisi del welfare fordista.
Con la nostra voglia di lotta e partecipazione, vogliamo gettare le premesse per un nuovo welfare, come precondizione per una società orizzontale e democratica, dove il lavoro flessibile, immateriale, nei servizi e nella cultura non sia più più sottoposto al ricatto della precarietà, all'impossibilità di esprimersi e di vivere.

Nessuno vuole essere condannato allo stesso lavoro a vita. Ma nessuno vuole passare la giornata a fare l'equilibrista precario o la contorsionista della flessibilità. Siamo sfufi di dover fare giocolieri fra pagamenti a 90 giorni e datori di lavoro sempre più vampirizzanti.
Esigiamo uguaglianza sociale per tutte e tutti e tutele che ci permettano di scegliere in quanto donne e uomini liberi, senza imposizioni e discriminazioni.
Vogliamo recidere il nesso tra reddito e occupazione e tra welfare e cittadinanza, come precondizioni per sviluppare una democrazia radicale, libertaria ed egualitaria, nell'era della globalizzazione della guerra.

DALLA RIVOLTA FRANCESE AL CONFLITTO DIFFUSO

La precarietà in Italia è stata diffusa dal pacchetto Treu e si è inasprita con la legge Biagi-Maroni. Il primo passo per affrontare la questione precaria è esigere la fine della legge 30 alias Biagi-Maroni. La legge 30 è il nostro CPE.
Se i francesi sono riusciti ad ottenere l'abrogazione del Contratto Precarietà Esclusione, anche noi possiamo ottenere la cancellazione della legge che è diventata il manifesto ideologico della flessibilità coatta. La mayday è una tappa decisiva della mobilitazione della società italiana, oltre che europea, contro la precarietà.

Il 1° maggio, finalmente liberi, rivendichiamo nella mayday parade diritti sindacali, maternità pagata, continuità di reddito x tutte/i.

Con la mayday lottiamo per nuovi diritti sociali, per una politica abitativa vera e il libero accesso a mobilità e conoscenza, ma soprattutto ci battiamo per il diritto a un nuovo sindacalismo, sociale, diffuso ed autorganizzato, capace di confliggere intelligentemente e radicalmente contro le minacce della precarietà: crediamo profondamente nella civiltà del conflitto, nella sua capacità di rigenerazione e innovazione, soprattutto in una società gerontocratica e stagnante come quella italiana.

Milano è la capitale italiana delle precarietà. Qui almeno due assunzioni su tre avvengono oggi con contratti precari. Nella metropoli milanese, nei suoi confini più ampi, transregionali, l'unica cosa a tempo indeterminato è la precarietà.
E' questa la condizione che spiega la crescente povertà urbana di donne single con figli e giovani famiglie in generale. Sono almeno mezzo milione i precari che ogni giorno fanno Milano ricca. Se riuscissimo a unirci tutte e tutti saremmo un blocco sociale temibile.
Diamoci da fare.
Organizziamo manifestazioni, scioperi, presidi, picchetti. Blocchiamo la città che sfrutta la precarietà.

Per concludere, chiediamo la liberazione delle sorelle e dei compagni ancora incarcerati per gli scontri dell'11 marzo. Sono in prigione per aver cercato di impedire una manifestazione neofascista e neonazista che ha offeso la memoria storica di Milano. Vogliamo che anche loro partecipino alla mayday e alla primavera dei precari e delle cognitarie d'Europa. Esprimiamo anche solidarietà ai compagni bolognesi e a tutti gli attivisti cui vengono addebitati reati abnormi, grazie a un'inspiegabile applicazione liberticida del codice Rocco d'era fascista e del peggio della legislazione emergenziale di trent'anni fa.
Amnistia e indulto per chiunque sia sotto processo per conflitti sociali!

MAYDAY! MAYDAY!
Milano e l'Italia si ribellano contro la precarietà

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26.4.06

Legge Biagi: Epifani, va riscritta

Legge Biagi: Epifani, va riscritta

Anche dal punto di vista 'interpretativo' delle imprese

(ANSA) - MILANO, 26 APR - La riforma del lavoro imposta dalla Legge Biagi deve 'essere riscritta'. Lo sostiene il segretario generale della Cgil, Epifani. 'Io rispetto tutte le opinioni, ma penso che quella legge vada riscritta' non solo dal punto di vista dei lavoratori 'ma anche da quello interpretativo delle imprese', cosi' Epifani commenta la presa di posizione dell'economista Pietro Ichino, secondo cui la riforma Biagi non ha determinato una crescita della precarieta'.

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I precari? Non sono aumentati (Pietro Ichino)

Tra il 2001 e il 2005 stazionaria la quota di contratti a termine. Sta sbagliando bersaglio chi mette sotto accusa la legge Biagi.

Chi accusa la legge Biagi di aver aumentato il lavoro precario sbaglia bersaglio: i dati dimostrano che tra il 2001 e il 2005 la quota di contratti a termine sul totale dell'occupazione, aumentata dal 12 al 14% nel corso degli anni '90, è rimasta stazionaria. Forse sono aumentati coloro che restano a lungo «impigliati» nel precariato: la soluzione è nella formazione e nell'orientamento.

Ma le differenze di produttività tra lavoratori sono cresciute e ora i più deboli rischiano di «impigliarsi» nella trappola dell'impiego fuori standard.

Qualche giorno fa in un talk-show televisivo abbiamo sentito un autorevole membro del governo uscente affermare che il merito di un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro creati in Italia nel corso dell'ultima legislatura sarebbe della legge Biagi; e abbiamo sentito un autorevole esponente della nuova maggioranza replicare che la legge Biagi sarebbe, piuttosto, la causa principale dell'aumento del lavoro precario. Nessuna delle due affermazioni è seriamente sostenibile, se si ragiona sui dati disponibili.

I dati Istat dicono due cose. La prima è che il forte aumento dell'occupazione complessiva in Italia ha avuto inizio nel 1998, ha raggiunto la sua punta massima del +2,6% nel 2001 ed è poi proseguito dal 2002 al 2005 in modo assai meno marcato; se bastasse (ma non basta) la coincidenza temporale per individuare gli effetti prodotti dalle leggi sull'occupazione, il merito di quell'aumento parrebbe dover essere attribuito al «pacchetto Treu» del 1997 molto più che alla legge Biagi del 2003. La seconda cosa che si trae da quei dati è che la quota dei contratti a termine rispetto al totale dell'occupazione è aumentata — di circa due punti, dal 12% al 14% — nel corso degli anni '90, ma non nel corso dell'ultima legislatura: la riforma del 2001, varata in accordo con Cisl e Uil e respinta dalla Cgil, non ha prodotto per nulla gli effetti di liberalizzazione dei contratti a termine preconizzati allora dal governo Berlusconi.

Degli effetti delle leggi dell'ultima legislatura sulle collaborazioni autonome continuative, sostituite dal nuovo «lavoro a progetto», abbiamo già scritto nei giorni scorsi: la materia non è stata certo liberalizzata, ma regolamentata in modo più stringente. Neppure questa forma di lavoro precario ha comunque fatto registrare un'espansione negli ultimi due anni: semmai il contrario. Quanto al «lavoro a chiamata» e al «contratto di inserimento», essi sono stati quasi del tutto ignorati dalle imprese.
La sola conclusione che può trarsi dall'insieme di questi dati è che le misure di politica del lavoro adottate dal governo Berlusconi non hanno prodotto né gli effetti di liberalizzazione del mercato attribuiti loro dal governo stesso, né quelli di precarizazione del lavoro attribuiti loro dall'opposizione. Come per un verso si può escludere che quelle misure abbiano segnato un miglioramento decisivo nelle performances del nostro mercato del lavoro, per altro verso, piaccia o no, si deve escludere che il fenomeno del lavoro precario ne sia stato causato o favorito in modo apprezzabile (alla stessa conclusione arriva, sulla base di dati di fonte in parte diversa, Luca Ricolfi nel suo ultimo libro Tempo scaduto, edito dal Mulino).

Resta da chiedersi perché il precariato sia oggi percepito diffusamente come problema più grave rispetto al passato, visto che la statistica non ne conferma un aumento complessivo rilevante. È ben vero che, secondo gli ultimi dati forniti dalla Banca d'Italia, di coloro che sono passati dal non lavoro nel 2004 a un lavoro dipendente o autonomo nel 2005, il 40,5% l'ha trovato nella forma del contratto a termine, del lavoro interinale o del lavoro a progetto: percentuale che era andata lentamente crescendo negli ultimi anni. Ma se la quota complessiva di quei contratti di lavoro precario resta contenuta ben al di sotto del 20% del totale, questo significa che in due casi su tre (se non tre su quattro) essi si trasformano abbastanza rapidamente in lavoro a tempo indeterminato.

Il problema è che dei casi in cui il lavoro precario funge effettivamente da canale di accesso al lavoro stabile nessuno parla: quelli che «fanno notizia» sono solo i casi in cui questo non accade, in cui il lavoratore resta impigliato a lungo nella trappola del lavoro precario. Ora, può essere che la quota dei «precari impigliati» rispetto al totale sia aumentata più di quanto sia aumentato complessivamente il lavoro precario; ma se questo è il problema, esso non nasce né dalla legge Treu né dalla legge Biagi: esso nasce invece dall'aumento delle disuguaglianze di produttività tra gli individui nella società postindustriale, cui le imprese reagiscono aumentando le disparità di trattamento. Questo problema può essere affrontato soltanto col rafforzare professionalmente i più deboli, o aiutarli a trovare la collocazione in cui possono rendere di più (ciò per cui una fase di maggiore mobilità all'inizio della carriera lavorativa è indispensabile); mentre aumentare il costo del loro lavoro rischia di condannarli alla disoccupazione.

Ridurre drasticamente la possibilità di lavoro a termine o aumentarne il costo — come si propone ora di fare il nuovo governo — può solo rendere la vita più difficile alla parte più debole dei giovani che si affacciano sul mercato. Non dobbiamo dimenticare che nel 1977, quando l'alternativa era soltanto tra il lavoro stabile e la disoccupazione, il contratto di formazione e lavoro (sostanzialmente un contratto a termine, della durata di uno o due anni, con retribuzione ridotta) venne introdotto per iniziativa del sindacato e delle forze politiche di sinistra, proprio per favorire l'accesso dei giovani. E nell'ultimo ventennio attraverso quella «porta» sono passati ogni anno centinaia di migliaia di ragazzi, dei quali — qui i dati disponibili parlano chiarissimo — più di due terzi hanno visto il contratto a termine trasformarsi, alla sua scadenza, in contratto di lavoro ordinario. Il nuovo governo farà bene a non dimenticare quell'esperienza.

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24.4.06

La Legge Biagi vacilla. A difenderla c’è solo la RnP

di Alessandro Da Rold

Continua in Italia la bufera politica sulla possibile abolizione della Legge Biagi, chiamata anche legge 30, di riforma del mercato del lavoro, approvata il 5 febbraio del 2003. Romano Prodi, vincitore delle ultime elezioni politiche, appena salirà al governo, dovrà da subito confrontarsi con i pareri discordanti che compongono la sua frammentaria coalizione di centrosinistra. Oltre a comparire a pagina 162 del programma di governo dell’Unione (“Noi siamo contrari ai contenuti della legge 30 e dei decreti legislativi n. 276 e 368 che moltiplicano le tipologie precarizzanti”), la cancellazione di questa discussa riforma rimane tra le priorità di Oliviero Diliberto dei Comunisti Italiani (“La legge va abrogata totalmente”), di Antonio Di Pietro dell’Italia dei Valori (“È come un cappio al collo”) e di Fausto Bertinotti (“Monumento alla precarietà”). Anche per Margherita e Ds, “Servono modifiche radicali”. Gli unici nell’Unione a difendere la riforma del giuslavorista bolognese Marco Biagi, ucciso dalle Brigate Rosse il 19 marzo del 2002, sono gli esponenti della Rosa nel Pugno.

Secondo i dati forniti dall’Istat il 21 Marzo di quest’anno, in Italia, nel 2005, l’occupazione è aumentata dello 0,7%, con un incremento di 158 mila posti di lavoro in più rispetto al 2004. Al contempo la disoccupazione è scesa dello 0,3%. L’Istat ha riconosciuto anche che “l’87% dei contratti di lavoro in Italia è a tempo indeterminato”. “Sono gli ottimi frutti - spiegò allora il ministro del welfare Roberto Maroni - che continua a dare la legge Biagi”. “Una volta arrivati al governo - disse Emma Bonino a Perugia prima delle elezioni - non aboliremo la legge Biagi”. Il neo deputato della Rosa nel Pugno alla Camera ha ribadito questa volontà anche giovedì scorso, durante la direzione nazionale del partito socialista-radicale. “Piaccia o non piaccia - ha detto la Bonino -, la questione della riforma del lavoro ci vede protagonisti in un dibattito che altrimenti vedrebbe Prodi schiacciato su posizioni massimaliste”. “La linea della pura e semplice abrogazione della Legge Biagi - ha spesso sottolineato Daniele Capezzone, sempre della Rosa nel Pugno - è un errore grossolano, e come tale va respinto. Siamo stati i primi a parlare di un completamento e di un riequilibrio della Legge Biagi, tornando anche al ‘Libro Bianco’ elaborato dal grande giuslavorista”.

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Francia / Banlieue e lotte studentesche, parla Alain Touraine

Francia / Banlieue e lotte studentesche, parla Alain Touraine

La scuola dei diritti

di Carlo Gnetti

Quali sono le ragioni profonde degli avvenimenti che nelle scorse settimane e nei mesi passati hanno messo in subbuglio la società francese, prima nelle “banlieues” delle grandi città e poi nelle Università in seguito alla proposta – poi ritirata – di introdurre il Cpe


(contrat de première embauche) per i giovani al primo impiego? In gioco vi sono ragioni legate alle incertezze del futuro e al rifiuto della precarizzazione, o ciò che è accaduto nasconde un malessere più profondo, che agita la società francese e i giovani in particolare? Abbiamo girato queste domande al sociologo Alain Touraine, docente universitario e attento osservatore della società francese ed europea.

“Gli avvenimenti danno già una risposta a queste domande, esordisce. Il carattere un po’ tecnico, limitato, del problema Cpe non concerneva solo gli studenti ma tutte le persone con un basso livello di educazione e di qualificazione. Ciò non spiega l’ampiezza del movimento ma mette in evidenza due aspetti. Il primo ha a che fare con la situazione concreta e immediata. È vero che in Francia vi è un tasso di disoccupazione tra i giovani ben più elevato di quello che riguarda l’insieme della popolazione. Molti studenti si mantengono agli studi facendo baby sitting, molti passano due o tre anni a fare stage o lavori di durata limitata. Ma al numero di giovani e di studenti molto più elevato rispetto al passato, e con prospettive professionali sempre peggiori, non corrisponde né crescita né mobilità sociale. In uno scenario di questo tipo il governo aveva deciso di sacrificare i giovani, a qualunque costo. Il merito del movimento degli studenti è stato di portare questa politica a conoscenza del grande pubblico e di rivelare un malessere che era presente nella società ma non era sufficientemente percepito dagli stessi politici”.

Il Mese Qual è il secondo aspetto da sottolineare?

Touraine È il metodo seguito dal primo ministro. Il sindacato sa bene che i problemi legati al regime dell’impiego devono essere trasformati lentamente, dopo molte negoziazioni che durano anni piuttosto che giorni. Ed ecco che all’improvviso il governo presenta un testo che, dal punto di vista del diritto del lavoro, è assolutamente scandaloso. Dopo che il sindacato, in decine di anni, era riuscito a creare un contratto di lavoro che offriva garanzie, nel quale il datore di lavoro doveva spiegare i motivi per poter licenziare, tutto d’un colpo tutto ciò scompare. Non si tratta solo di una norma giuridica estrema. C’è il fatto che per due anni, che sono un periodo di discrezionalità molto lungo, il datore di lavoro può licenziare in qualunque momento un giovane senza spiegazione, senza oneri finanziari né nulla. Dunque c’è un secondo motivo che spiega l’ampiezza della reazione, in particolare del sindacato, ed è l’attacco brutale ai diritti del lavoro, che già sono rispettati sempre meno. Un modo di fare che aggiunge scandalo a scandalo.

Il Mese Cosa succederà ora che il governo è stato costretto a fare marcia indietro?

Touraine L’assenza, o il carattere aberrante, delle politiche sociali della Francia non riguarda solo il governo attuale. Una tale riflessione nasce sia dopo ciò che è successo nelle banlieues lo scorso novembre, sia dopo la vicenda del cpe, che stava per provocare una crisi di governo. In tutto questo periodo, se si prende a termine di paragone la solita Gran Bretagna di Tony Blair ma anche la Spagna, il nostro paese si è mostrato incapace di elaborare una politica sociale tanto in materia di impiego, quanto in materia di lavoro in generale, di giovani e di vita nelle città. C’è una sorta di paralisi, di impotenza, che si riflette all’interno dello stesso apparato politico.

Il Mese Ciò che è avvenuto da voi è dunque un fenomeno tipicamente francese o può riguardare in qualsiasi momento qualsiasi altro paese d’Europa?

Touraine Quando sentiamo condannare da più parti l’eccesso di protezione dei lavoratori salariati bisognerebbe chiedersi quale sarà il nostro avvenire. L’orientamento degli economisti europei è di aumentare la precarietà, di abbassare i salari e di aumentare la durata del lavoro per reggere la competizione internazionale. Per salvaguardare la nostra economia sembra dunque che sia necessario limitare la protezione dei lavoratori, introdurre una precarietà sempre maggiore, come è avvenuto in Spagna dove la proporzione dei precari è il doppio rispetto alla Francia, e accettare una visione del mondo nella quale le risorse vanno ripartite in funzione della collocazione dei singoli paesi nell’arena mondiale. Mi chiedo allora, e penso al movimento degli studenti che forse avrà avuto una reazione esagerata e alcuni aspetti discutibili che hanno infastidito qualcuno, ma senza dubbio ha avuto il merito di far riflettere tutti noi europei, e non solo i francesi: ciò di cui abbiamo bisogno, oggi e domani, è più liberismo o non piuttosto l’aumento delle garanzie? Dobbiamo continuare a liberalizzare tutto oppure, dopo 30 anni di liberismo, dobbiamo riprendere un certo controllo sull’economia, che nel frattempo si è modernizzata? Non sarà più conveniente seguire il modello scandinavo piuttosto che quello americano o inglese (che peraltro è molto meno liberale di quanto si crede), discutendo magari di licenziamenti purché siano offerte altre contropartite? In altre parole la flessibilità necessaria in un’economia aperta deve per forza trasformarsi in precarietà o non deve piuttosto essere integrata o compensata da una serie di garanzie a favore dei giovani e dei lavoratori?

(www.rassegna.it, il Mese di Rassegna sindacale, aprile 2006)

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